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Julian Assange, il suo caso un banco di prova per il neo presidente Biden

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Una delle prime domande a seguito dell’elezione di Joe Biden è: adesso cambierà qualcosa per il detenuto Julian Assange? Il nuovo presidente americano potrebbe concedere la grazia al fondatore di un’associazione come Wikileaks, nata con l’intento di rivelare corruzione e soprusi del potere, attraverso la pubblicazione di documenti segreti, come quelli sulle guerre americane e i crimini avvenuti in Iraq, Afghanistan e a Guantanamo?

Assange, 48 anni, cittadino australiano, è divenuto un simbolo mondiale della libertà di stampa. Era già stato accusato di avere cospirato, insieme all’ex analista militare statunitense, Chelsea Manning, per ottenere e pubblicare materiale riservato nel 2010. A fine giugno scorso, in era Trump, si è aperto un nuovo capitolo del braccio di ferro giudiziario tra il governo Usa e Assange: il Dipartimento di Giustizia americano ha sostenuto che il giornalista e la sua organizzazione avevano reclutato hacker e incitato altre persone per ottenere informazioni da pubblicare, in violazione delle leggi anti spionaggio degli Stati Uniti.
Per i legali del giornalista australiano, le accuse di Washington sono “politicamente motivate”. Essi inoltre ricordano le precarie condizioni di salute del loro assistito, arrestato dalla polizia britannica nell’aprile 2019, dopo aver trovato rifugio per sette anni all’interno dell’ambasciata dell’Ecuador, a Londra, rivelatasi in seguito una specie di prigione sotto sorveglianza. Gli agenti lo catturarono dopo la revoca dell’asilo offerto dalle autorità di Quito.
La lunga battaglia giudiziaria è giunta ora all’ultima fase, nel tentativo di evitargli l’estradizione negli Usa, dove rischia una condanna fino a 175 anni di carcere. Oltreoceano è già stato incriminato da un grand jury per 18 capi di imputazione, 17 dei quali relativi ad accuse di spionaggio. Un’altra udienza è prevista il prossimo 11 dicembre; Assange non vi parteciperà, con la motivazione di doversi proteggere dal Covid. La sentenza finale, della giudice Vanessa Baraitser, sarà emessa il 4 gennaio 2021.
Biden diverrà il 46.mo presidente d’America solo il 20 gennaio 2021. E certo la grazia non gliela darà nel frattempo Trump, che una decina di giorni fa l’ha concessa a tre militati statunitensi colpevoli di crimini di guerra. Tanto che la deputata democratica Tulsi Gabbard, ex candidata alle presidenziali americane, lo chiama in causa in un tweet indirizzato a @realDonaldTrump: “Since you’re giving pardons to people, please consider pardoning those who, at great personal sacrifice, exposed the deception and criminality of those in the deep state”. Ossia “Dal momento che stai graziando altre persone, per favore prendi in considerazione di graziare coloro che, a costo di grandi sacrifici personali, hanno smascherato l’inganno e la criminalità dei membri del Deep State”, riferendosi ad Assange e a Snowden.
E, in un altro tweet, aggiunge: “Brave whistleblowers exposing lies & illegal actions in our government must be protected. Join me and urge Congress: Pass my bipartisan legislation (HRes1162, HRes1175, HR8452) calling for charges against @snowden & Assange to be dropped & to reform the Espionage Act”. I sussurratori coraggiosi che raccontano bugie e illeciti del governo devono essere protetti ed è tempo -ricorda quindi Gabbard- di riformare in maniera bipartisan l’Espionage Act, una legge del 1917.
In caso di estradizione di Assange negli Stati Uniti, la parola passa dunque alla prossima amministrazione.
(da MicroMega online, 3 dicembre 2020)

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