“Garanzia pubblica”. Una definizione molto bella. Rassicurante. Che, però, rischia di essere fuorviante. Nel caso Inpgi, “garanzia pubblica” vuol dire: a fine anno il disavanzo di bilancio dell’ente di previdenza dei giornalisti viene ripianato con soldi presi dal bilancio dello Stato, ovvero dalle tasse di tutti i cittadini. Ho letto molte cose sulla crisi Inpgi. Ce n’è una che vorrei aggiungere. Per come si configura, la “garanzia pubblica” rischia di tradursi nella consegna della nostra autonomia, indipendenza, libertà, al governo di turno. Nostra come Inpgi. Nostra come sindacato federale e territoriale. Affidare la tenuta dei nostri conti alla volontà del governo di turno – anno per anno –, vuol dire consegnare al governo di turno una potente arma di pressione sulle scelte gestionali dell’Inpgi. Privandoci di fatto di ogni potere di decidere le nostre politiche previdenziali. Dato che poi per molte Associazioni di stampa regionali la tenuta dei conti dipende dal contributo servizi versato dall’Inpgi, la potente arma di pressione potrà essere utilizzata anche contro i sindacati regionali.
Insomma, è così difficile vedere che se i miei conti dipendono anno per anno dal governo, quel governo potrà decidere se aprire o stringere i cordoni della borsa in base alla maggiore o minore accondiscendenza da parte dei sindacati regionali?
Noi maneggiamo una risorsa molto preziosa, ovvero la libertà di stampa. E, per difenderla, il sindacato è stato chiamato in passato, e potrà essere chiamato in futuro, a scelte molto dure, a mobilitazioni, scioperi. Anche nei confronti del governo di turno. Penso – per esempio – alle leggi bavaglio, alle intercettazioni, all’equo compenso. Insomma, se siamo chiamati a dare attuazione e a difendere l’art.21 della Costituzione, non possiamo consegnare noi il rubinetto del nostro ossigeno al governo di turno. Se dobbiamo essere i cani da guardia del potere, non possiamo noi consegnare il guinzaglio a quelli dei quali noi dovremmo essere i guardiani.