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Il Papa a Bagdad, sarà il viaggio della fratellanza

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Sarà il viaggio della fratellanza nel campo di battaglia prescelto dai cantori dell’odio e la notizia più ovvia è strabiliante la dà il grande artefice del viaggio, il patriarca caldeo Louis Sako: “ Stiamo pensando ad una preghiera con cristiani, musulmani, ed altre denominazioni religiose. Saranno i letti passi della Bibbia e del Corano relativi ad Abramo”. Un evento che non ha precedenti e che archivia piccole storie nel nome di quella sfida che Martin Luther King annunciò così: “o impariamo a vivere insieme come fratelli o periremo tutti come dei folli.”

Cercare di relativizzare la portata dell’annuncio vaticano è impossibile anche a chi ci prova con titolo a dir poco fuorvianti. La notizia infatti non è che il papa ritorna a viaggiare dopo la sospensione dei suoi viaggi per la pandemia. No, la notizia è che per la prima volta nella storia un papa va in Iraq, l’antica Mesopotamia, la terra da cui è partito, migrante, il padre dei tre monoteismi, Abramo. Da lì un grande visionario del dialogo, Paolo Dall’Oglio, sognava partisse un Cammino sulle orme del padre comune per tutti i suoi figli, insieme. Ora forse qualcosa del genere si può cominciare se non a vedere almeno a dire. E tutto questo se potrà cominciare dovrà cominciare in Iraq.

Quella antichissima terra, dal 1990, quando Saddam Hussein ebbe la pessima idea di invadere il Kuwait, è tornata ad essere veramente Mesopotamia, cioè terra di mezzo. Terra di mezzo tra le due grande eresie apocalittiche che tentano di conquistare militarmente l’islam. Si tratta dell’eresia khomeinista, intrisa di visione apocalittica in tutti i suoi massimi esponenti vivi o defunti, da Khomeini a Soleimani, da Khamenei a Nasrallah, e dell’eresia qaidista, deriva estremista del wahhabismo, intrisa di visione apocalittica in tutti i suoi massimi esponenti, da bin Laden al sedicente al-Baghdadi. Lì in Iraq, a Baghdad, i cristiani aprirono le loro Case della Sapienza ai primi musulmani arabi che vi giunsero. Un salto indietro di secoli per dire quanto lunga, nobile e poi dolorosa sia stata la storia. Fino all’orrore di Mosul, da dove gli squadristi di al-Baghdadi deportarono tutti i cittadini di religione cristiana e inflissero punizioni atroci agli yazidi. Un grande iracheno venuto decenni fa in Italia per studiare Dante, Younis Tawfik, ci ha raccontato i tanti risvolti delle duplici sofferenze inflitte, con tante complicità, ai suoi compatrioti, a cominciare dai suoi parenti, da questi avamposti in conflitto per conquistare l’islam: gli opposti apocalittici. Ma gli iracheni non hanno gettato la spugna: sebbene si possa dire che quel disastro ormai trentennale abbia svolto il ruolo di culla anche del nuovo fenomeno, il nichilismo islamista, la primavera è tornata a Baghdad con i moti che hanno visto il ruolo cruciale e profetico del patriarca caldeo, che prima di invitare il papa in Iraq e annunciare le strabilianti idea a cui si lavora, ha portato la sua solidarietà a tanti iracheni, in gran parte musulmani che, in piazza a Baghdad, hanno invocato per mesi il rispetto per i diritti dell’uomo. La testimonianza del cardinale Luis Sako dall’ottobre 2019 davanti alla piazza di Baghdad è stato uno degli eventi più nobili e trascurati della storia recente. In un certo senso si può dire che il primo luogo dove il Documento di Fratellanza firmato dal papa e dall’imam di al Azhar ha preso forma, sostanza, carne, è stata quella piazza e la sua richiesta di non esporre addobbi per lo scorso Natale in segno di solidarietà con tutte le vittime ne è stato il segno più alto.

Pellegrino in Iraq, terra devastata tra gli opposti imperialismi apocalittici lanciati nella feroce conquista militare dell’islam, pellegrino di quella fratellanza che è l’unica risposta che spiazza e sconfigge i cantori dell’odio e della conquista. Lo ha già detto, meglio di tutti, il direttore de La Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, già nel suo primo commento all’enciclica, il 4 ottobre scorso:  “ La fratellanza così intesa capovolge la logica dell’apocalisse oggi imperante; una logica che combatte contro il mondo perché crede che questo sia l’opposto di Dio, cioè idolo, e dunque da distruggere al più presto per accelerare la fine del tempo. Davanti al baratro dell’apocalisse, non ci sono più fratelli: solo apostati o «martiri» in corsa «contro» il tempo. Non siamo militanti o apostati, ma fratelli tutti. La fratellanza non brucia il tempo né acceca gli occhi e gli animi. Invece occupa il tempo, richiede tempo. Quello del litigio e quello della riconciliazione. La fratellanza «perde» tempo. L’apocalisse lo brucia. La fratellanza richiede il tempo della noia. L’odio è pura eccitazione. La fratellanza è ciò che consente agli eguali di essere persone diverse. L’odio elimina il diverso. La fratellanza salva il tempo della politica, della mediazione, dell’incontro, della costruzione della società civile, della cura. Il fondamentalismo lo annulla in un videogame.

Ecco perché il 4 febbraio 2019, ad Abu Dhabi, Francesco, il Papa, e Aḥmad al-Tayyeb, il Grande Imam di al-Azhar, hanno firmato uno storico documento sulla fratellanza. I due leader si sono riconosciuti fratelli e hanno provato a dare insieme uno sguardo sul mondo d’oggi. E che cosa hanno capito? Che l’unica vera alternativa che sfida e argina la soluzione apocalittica è la fratellanza.”

La vecchia Mesopotamia, terra di mezzo tra le due follie apocalittiche, è il luogo dove giocare la sfida della fratellanza. E papa Francesco lo farà, segno forse di una storia non voluta, proprio nei giorni del decimo anniversario della primavera araba. Quella primavera che a marzo di dieci anni fa fece sperare a tanti arabi di potersi lasciare alle spalle le ideologie fallite del panarabismo e del panislamismo sono poi state tradite da tutti, a cominciare ovviamente – in ordine cronologico- dai Fratelli Musulmani, al tempo di Morsi e Erdogan. Poi sono state usate e trasformate in genocidio da tanti, a partire dalla Siria, dallo Yemen e dal signori di tanti milizie utili solo a impedire che la speranza di libertà e democrazia attecchisse nei pressi del loro giardino.

Se nell’itinerario del viaggio di Francesco dovrebbe spiccare la visita alla piana di Ur, la terra di Abramo, la presenza tra le tappe del suo pellegrinaggio nel grande dramma iracheno delle città del martirio cristiano, Mosul e Qaraqosh, non possono che dirci della portata del viaggio visto nel cuore dell’attualità. Pensando a tutte queste città offese, devastate, e pur sempre pronte a rivendicare i diritti dell’umanità, tornano alla mente le parole che Bergoglio scrisse già nel 2013 nella sua esortazione apostolica, Evangelii Gaudium: “ In molte parti del mondo, le città sono scenari di proteste di massa dove migliaia di abitanti reclamano libertà, partecipazione, giustizia e varie rivendicazioni che, se non vengono adeguatamente interpretate, non si potranno mettere a tacere con la forza”. Francesco aveva capito tutto già allora. E non sorprende che insieme all’imam di al-Azhar abbia saputo scrivere: “In nome dell’innocente anima umana che Dio ha proibito di uccidere, affermando che chiunque uccide una persona è come se avesse ucciso tutta l’umanità e chiunque ne salva una è come se avesse salvato l’umanità intera. In nome dei poveri, dei miseri, dei bisognosi e degli emarginati che Dio ha comandato di soccorrere come un dovere richiesto a tutti gli uomini e in particolar modo a ogni uomo facoltoso e benestante. In nome degli orfani, delle vedove, dei rifugiati e degli esiliati dalle loro dimore e dai loro paesi; di tutte le vittime delle guerre, delle persecuzioni e delle ingiustizie; dei deboli, di quanti vivono nella paura, dei prigionieri di guerra e dei torturati in qualsiasi parte del mondo, senza distinzione alcuna. In nome dei popoli che hanno perso la sicurezza, la pace e la comune convivenza, divenendo vittime delle distruzioni, delle rovine e delle guerre. In nome della “fratellanza umana” che abbraccia tutti gli uomini, li unisce e li rende uguali. In nome di questa fratellanza lacerata dalle politiche di integralismo e divisione e dai sistemi di guadagno smodato e dalle tendenze ideologiche odiose, che manipolano le azioni e i destini degli uomini. In nome della libertà, che Dio ha donato a tutti gli esseri umani, creandoli liberi e distinguendoli con essa. In nome della giustizia e della misericordia, fondamenti della prosperità e cardini della fede. In nome di tutte le persone di buona volontà, presenti in ogni angolo della terra. In nome di Dio e di tutto questo, Al-Azhar al-Sharif – con i musulmani d’Oriente e d’Occidente –, insieme alla Chiesa Cattolica – con i cattolici d’Oriente e d’Occidente –, dichiarano di adottare la cultura del dialogo come via; la collaborazione comune come condotta; la conoscenza reciproca come metodo e criterio.”

Quanti ne vedrà Francesco di poveri, di miseri, di bisognosi, di emarginarti, di orfani, di vedove, di rifugiati, di esiliati, di vittime, di perseguitati, di deboli, di impauriti, di prigionieri, di torturati, di persone che  hanno perso la sicurezza, la pace, la casa.

Questo viaggio annuncia la più grande di sfida per la sicurezza della storia moderna. Anche il pellegrinaggio a Banguì sembra un ricordo facile, leggero… Sarà a una sfida a tutte le forze apertamente e occultamente contrarie al compromesso, al dialogo, al reciproco ascolto: insomma, a tutti i mille nemici della fratellanza, unica alternativa alle culture apocalittiche. Un viaggio che solo a sentirlo annunciare fa tremare le vene ma fa anche riaccendere la fiammella che nessuno può spegnere, quella della speranza.


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