Se ancora oggi è molto difficile per le donne affermarsi come registe, si può immaginare quanto lo fosse nell’America degli anni ’50, che esaltava l’immagine della housewife, una donna reclusa nella sfera domestica, sottomessa ai dettami di una società capitalista e conservatrice.
In quel piattume culturale (solo apparente, perché gettò le basi per i rivoluzionari anni ’60) risalta una figura femminile, quella di Ida Lupino, unica regista di quel periodo.
Nata nel 1918, comincia la sua carriera ad Hollywood come attrice, e pur stimata da colleghi e addetti ai lavori, non riesce a raggiungere il successo desiderato. Lei stessa si considerava ironicamente la “versione povera” di Bette Davis, perché prendeva i ruoli che la più nota attrice rifiutava. Dotata di una personalità forte e ribelle, Lupino entrava spesso in contrasto con i manager della Warner, perché si rifiutava di interpretare ruoli che degradavano la sua dignità. Alcune volte è arrivata persino ad essere “sospesa” e fu proprio in uno di quei periodi di punizione (durato 6 mesi) che Lupino decise di impiegare il tempo libero osservando e studiando il lavoro di ripresa e montaggio, che considerava ben più interessante della recitazione. Subito dopo creò una casa di produzione indipendente con il marito.
I suoi film, nonostante abbiano una riconoscibile estetica hollywoodiana, hanno qualcosa che li rende peculiari. A cominciare dalle tematiche trattate, ancora oggi considerate problematiche e all’epoca censurate: stupro, bigamia, gravidanze extraconiugali.
Outrage (1950) è incentrato sulla violenza subita da Ann, una ragazza in procinto di sposarsi. La protagonista oltre all’aggressione subisce una vittimizzazione secondaria. Dopo aver denunciato lo stupro infatti, la notizia viene diffusa e Ann viene colpevolizzata per aver lavorato fino a tarda sera, per non essere scappata e per non essere stata in grado di riconoscere l’aggressore. Si sente talmente attaccata da essere costretta a scappare, diventando una ricercata. Un tema purtroppo ancora attuale, basti pensare a Unbelievable (2019) la serie tv americana incentrata su vari stupri commessi negli USA (storia vera) in cui una delle vittime, torchiata dalla polizia fino all’esaurimento, cade in alcune contraddizioni e non viene creduta, rischiando di essere denunciata per falsa testimonianza.
The Bigamist (1953) svela l’ipocrisia della morale perbenista americana che per esempio accetta l’idea di un’amante ma non può tollerare il fatto che il protagonista decida di avere due mogli. Il film non fornisce un giudizio morale, lasciando la libertà a chi guarda di farsi la propria idea e il finale aperto lascia intendere che una delle due donne potrebbe decidere di rimanere con il marito bigamo, se non entrambe.
I film di Ida Lupino non si possono certo definire rivoluzionari, ma non sono nemmeno tradizionali. Per esempio dal punto di vista formale spesso sono girati in esterni reali, luoghi pubblici, come raramente si vedono nei film americani degli anni ’50, girati soprattutto negli Studios. Scelta che sembra più dettata da una necessità tecnica piuttosto che da una ricerca stilistica, dato che il basso budget non permetteva l’ambientazione nei set hollywoodiani. Anche la recitazione risulta più accurata, i gesti più semplici e quotidiani sembrano meno meccanici e c’è un’interazione fisica più intima tra uomini e donne. Inoltre le personagge dei film di Lupino mostrano una parte più ironica e oscura, rispetto alle contemporanee.
Ida Lupino, morì nel 1995 a 77 anni, per un ictus. Dagli anni ’60 si dedicò alla regia di serie tv e continuò a recitare fino agli anni ’70. Per molte cineaste di diverse generazioni è stata un esempio da seguire, per la sua straordinaria intelligenza e caparbietà che la portarono ad emergere in un ambiente completamente maschile e conservatore. Purtroppo ancora oggi non gode della fama che meriterebbe ed è conosciuta soprattutto in contesti accademici o di nicchia cinefila.