Francois Truffaut: il cinema dentro la vita. Su RaiPlay 11 film del grande regista francese

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Ci sono artisti di cui  tutto è già stato scritto e riscritto, fortunatamente. Solo il racconto delle sensazioni e delle emozioni suscitate dalle loro opere possono aggiungere un tassello in più alla loro conoscenza. A maggior ragione, tutto ciò vale in maniera smisurata se ad essere ricordato è il regista francese Francois Truffaut, a cui RaiPlay dedica, in questi giorni, una rassegna di undici opere assolutamente imperdibili. La profonda commistione fra vita privata e opera artistica, esplicatasi non soltanto nei suoi film, come spesso accade, ma anche nella realtà (vedi il rapporto padre-figlio con il grande teorico del cinema Andrè Bazin ed il litigio insanabile con il “fratello” Jean-Luc Godard) esalta ancora di più ogni aspetto del suo cinema.

L’amore per l’amore e la percezione forte, per contrapposizione, del senso della morte che pervadono la sua opera di esordio, il cortometraggio “Les mistons”,’57, dedicato a quella fase di passaggio molto delicata che sta fra l’infanzia e l’adolescenza, lascia lo spettatore disarmato davanti a tanto spietato candore, arricchito anche da una capacità di scrittura poetica del commento fuori campo che non dà scampo a chi vi si abbandona (soprattutto se fruito nel francese originale). E per chi avesse dei dubbi su Truffaut come unico erede testamentario del pensiero del”padre” Bazin, ecco il miracoloso “I 400 colpi”,’59, ideale continuazione ed arricchimento del corto d’esordio, in  cui l’adolescenza è vista come l’ultimo momento di quella libertà assoluta propria dell’infanzia, inconciliabile con il  mondo necessariamente costretto ad ogni compromesso degli adulti, i quali hanno “dovuto” freudianamente dimenticare, per sopravvivere, d’essere stati bambini e liberi pure loro. Il regista in una totale confessione laica rivela se stesso come uomo e come artista, e regala alla storia del cinema un capolavoro assoluto che segna la rinascita, chiamata Nouvelle Vague, del cinema francese e di ogni altro cinema.

E se Andrè Bazin, ispirato dall’inevitabile Rossellini, aveva raccomandato ai suoi “giovani turchi”(come vennero poi definiti) colleghi dei “Cahiers du cinèma” di raccontarsi senza pudori perché solo l’autobiografismo avrebbe riportato al cinema una verità valida per tutti(“alla fine siamo tutti uomini, tutti uguali davanti ai grandi temi della vita”), solo uno di essi, “suo figlio” Truffaut, avrebbe addirittura esagerato nell’ubbidire, per nostra fortuna, portando  ancora per quattro volte sulla scena l’adolescente eroe de “I 400 colpi” Antoine Doinel,  interpretato dal suo alter ego Jean-Pierre Leaud, atteso nella crescita per diventare  unico narratore visivo anche della sua giovinezza e maturità in “Antoine e Colette”,’62,“Baci rubati”,’68, “Domicile conjugal”,’70 e “L’amore fugge”,’79. Un record ancora oggi imbattuto nel cinema di finzione, cinque film con un unico protagonista e attore seguito dai 13 ai 33 anni, indice di un modo di intendere il cinema come componente imprescindibile della propria esistenza. Truffaut fu l’unico del gruppo storico della Nouvelle Vague (Chabrol, Godard, Rivette, Rohmer) a volersi affrancare da questa etichetta, non perché ne sentisse il peso ideologico (che l’aveva portato alla rottura con Godard) ma perché, come aveva affermato in una delle tante e preziose interviste, per lui il cinema era stato sempre lo stesso di quello che aveva conosciuto appassionandosene fin dall’infanzia: una messa in scena della realtà, talvolta voluta anche per puro piacere. Egli, sempre a suo dire, aveva soltanto cercato di renderlo più vero, più credibile, non falso e perciò inutile.

Scomparso il 21 di ottobre del 1984 a Neuilly-sur-Seine (località che detiene un triste primato:anche De Sica morì lì, esattamente 10 anni prima) a soli 52 anni, Truffaut ha avuto  modo di non farci sentire come troppo precoce la sua morte, realizzando film che hanno messo insieme tutti gli aspetti dell’esistenza umana, analizzati anche nelle loro forti contraddizioni: l’adolescenza come momento cruciale e spietatamente  disvelatore dei grandi sentimenti in “ Les mistons”,’57, “I 400 colpi”,’59, “Gli anni in tasca”,’76; l’Eros inevitabilmente legato a Thanatos, oltre che nel succitato ed iniziatico “Les mistons”,’57, anche in ”Jules e Jim”,’62,“La calda amante”, ’64, ”Adele H.-Una storia d’amore”, ’75,”L’uomo che amava le donne” ’77, “La signora della porta accanto”,’81; la memoria come componente fondamentale del nostro presente in “Les mistons”,’57, ”I 400 colpi”,’59, ”Il ragazzo selvaggio”, ’69, ”Gli anni in tasca”,’76, ”La camera verde”,’78; la libertà come bene primario e soprattutto insopprimibile e per questo potenzialmente sovversivo ne ”I 400 colpi”, ’59, ”Fahrenheit 451”, ’66, ”Il ragazzo selvaggio”’69; la vita dominata da pulsioni  e situazioni incontrollate ed incontrollabili e all’interno delle quali l’uomo manifesta la sua grandezza e la sua piccolezza in “ Tirate sul pianista”, ’60, ” La sposa in nero”, ’68,  “ La mia droga si chiama Julie”,’69 “ Le due inglesi”, ’71, ” Mica scema la ragazza”, ’72, “ L’amore fugge”, ’79, “ Finalmente domenica!”, ’83; l’amore come sentimento inevitabile, inquietante, e foriero di illusioni e disillusioni in “ Antoine e Colette” ’62, “ Baci rubati”,’68,  “ Domicile conjugal“,’70, ” L’ultimo metro’”,’80. Una nota a parte merita “ Effetto notte”, ’71, atto d’amore di Truffaut per la sua arte ma soprattutto ennesima conferma dell’inestricabile rapporto fra vita e finzione. Il cinema, per dirla con le stesse parole di questo sommo artista, come uno dei piaceri della vita. Di più non si potrebbe dire.


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