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Da “Lampedusa” a “virus”, 8 anni di migrazioni a parole

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“Abbiamo parole per fingere,
Parole per ferire,
Parole per fare il solletico”.

Abbiamo parole per piangere,
Parole per tacere,
Parole per fare rumore”.

Andiamo a cercare insieme
Le parole per parlare
Andiamo a cercare insieme
Le parole per parlare”.

Gianni Rodari

 

Emergenza, invasione, frontiere, solidarietà, accoglienza, protezione, e ancora migranti, rifugiati, e “clandestini. Nel corso degli ultimi otto anni sono cambiati gli eventi, le cornici, i toni, il linguaggio e i contesti: sono rimaste alcune parole, altre sono cambiate.

Con il supporto dell’Osservatorio di Pavia, abbiamo esplorato il lessico della migrazione per ciascun anno dal 2013 al 2020: una parola all’anno per 8 anni.

A percorrerle tutte, si osserva un cambiamento del racconto della migrazione, che è anche una trasformazione dello sguardo nei confronti del fenomeno. Nel 2013 la parola simbolo era “Lampedusa”, teatro di naufragi e di accoglienza; a cui seguiva, nel 2014, “Mare nostrum”, l’operazione di salvataggio in mare dei migranti nel Canale di Sicilia e nel 2015, all’indomani della morte del piccolo Alan Kurdi, “Europa”, come risposta europea agli arrivi di migranti e rifugiati. Nel 2016, la cornice in cui si racconta la migrazione, inizia a cambiare: sono i “muri”, la parola simbolo e nel 2017 sono le Ong, verso cui si orientano sospetti e accuse di “svolgere le operazioni di ricerca e di soccorso in mare a scopo di business”. Nel 2018 la parola simbolo è Salvini, l’anno successivo è Salvini, affiancato da Carola: la migrazione è ormai un tema di confronto (e scontro) politico.

La parola simbolo del 2020 è “virus”, in una cornice di allarme sanitario che associa la presenza di migranti a possibili contagi.

Continuano a essere presenti alcune delle parole che hanno contraddistinto questi ultimi anni di racconto della migrazione: emergenza, invasione, sbarchi, ghetti, confini.

Nello stesso tempo, però, la diffusione della pandemia ha “sospeso” alcune delle cornici e delle parole discriminanti, espressione di un giornalismo di propaganda che poco o nulla ha a fare con l’accuratezza e la correttezza dell’informazione.

Così, il 2020 ci lascia con le parole della “cittadinanza”, della “protezione” e della “regolarizzazione”, nell’attesa negli anni a venire di “andare a cercare insieme le parole per parlare” (Gianni Rodari).


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