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Combattere il razzismo è responsabilità di tutti

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E invece no. Lo ripetiamo: di fronte al razzismo non bisogna minimizzare. Quello che è avvenuto durante la partita di Champions Legue, ultimo turno prima dei passaggi agli ottavi di finale, è molto grave. Il quarto uomo, una sorta di arbitro aggiunto, il romeno Coltescu, ha usato il termine “negru” (nero in romeno) rivolto a Pierre Achille Webo, assistente dell’allenatore dei turchi. Siamo a Parigi, martedi sera, e la partita in corso è Paris St Germen-Istanbul Basaksehir.  Gara prima interrotta e poi sospesa, si riprenderà mercoledi. La Uefa aprirà un’indagine per chiarire i fatti ma non si può parlare di “presunti” fatti di razzismo: c’erano le telecamere di tutto il mondo.

Il fatto è grave: il padrone che morde il cane fa notizia, eccome. L’arbitro, anzi gli arbitri di una partita di calcio hanno compiti precisi, hanno poteri e doveri. Quello principale dovrebbe essere quello di dare il buon esempio e poiché si parla di una partita europea di punta, il buon esempio sportivo diventa un moltiplicatore di comunicazione che entra in milioni di case, in tutta Europa e nel mondo.

Pierre Achille Webo, ex attaccante camerunense, 59 presenze nella nazionale del suo Paese, con importanti esperienze nel calcio europeo e sudamericano, non ci sta. Ma è Demba Ba, attaccante della squadra di Istanbul, che affonda: “Perché quando parli di un bianco non dici ‘quel ragazzo bianco’ e quando invece ti riferisci a me dici ‘quel ragazzo nero?’. Già, perché? L’arbitro rumeno Coltescu si mostra disperato, pare che abbia tentato di spiegare che nel suo Paese l’espressione “negro” è usuale, non offensiva. Spiegazione che apre nuove inquietanti riflessioni. Sa che l’Uefa ha la mano pesante di fronte ad episodi come questo. “Il razzismo e la discriminazione in tutte le sue forme non trovano posto nel calcio”: scrive nella notte il vertice del calcio europeo sul proprio sito.

I giocatori delle due squadre lasciano il campo, si rifiutano di giocare, lanciano messaggi sui social contro il razzismo. Neymar e Mbappé hanno preso le parti del calciatore senegalese e della squadra turca.

Questa mattina sono arrivate le scuse del ministro dello sport rumeno: “Condanniamo fermamente qualsiasi espressione o dichiarazione che possa essere considerata razzista o discriminatoria. Mi scuso a nome dello sport rumeno per lo sfortunato incidente in cui è coinvolto l’arbitro rumeno Sebastian Coltescu e vi assicuro che si tratta di un caso isolato che non rappresenta lo sport rumeno”. Le diplomazie internazionali sono al lavoro, capiscono che il calcio è una cassa di risonanza mondiale.

Capiscono anche che messaggio potato avanti dal«Black Lives Matter» («Le vite dei neri contano»), è potente ed ha infranto il consueto isolazionismo dello sport. L’uccisione dell’afroamericano George Floyd (14 ottobre 1973 – 25 maggio 2020) da parte della polizia a Minneapolis è soltanto uno dei più recenti fatti, la lista è lunga ma quell’episodio ha fatto scattare qualcosa di nuovo e inarrestabile. Non si rimane più zitti, né si minimizza. Ed altrettanto lunga è diventata la lista dei campioni dello sport che non ci stanno: dall’automobilismo al basket, da Lewis Hamilton ai campioni di pallacanestro Nba, fino al calcio tanti atleti hanno preso le parti del movimento Black Lives Matter aprendo gli occhi ai tifosi e alle organizzazioni sportive. Un cambio di passo rivoluzionario.

E in Italia? Il razzismo continua ad essere radicato e affiora lì dove meno te lo aspetti. In serie A, dove gli arbitri che potrebbero sospendere le partite per fatti di razzismo in campo o sugli spalti, non lo fanno con la dovuta continuità e attenzione. Ma anche nei campi di periferia, come denuncia il sito Cronaca Antirazzista, curato da Lunaria che, insieme a Unar e Uisp, ha dato vita in Italia all’Osservatorio contro le discriminazioni nello sport. Il sito riporta ad esempio un episodio di alcuni mesi fa, che fa riflettere: “Una delle ultime notizie ha del surreale. Eppure, sebbene gravissima, ha circolato poco sulla stampa nazionale. La società Airone Football Club 1983 di Calderara di Reno su Facebook ha segnalato un tabellino che riporta il risultato di una partita di calcio della categoria juniores, giocata sabato nel bolognese (in trasferta a Pianoro con lo Sporting Pianorese 1955), dove un marcatore, autore di una delle quattro reti, non viene chiamato con il suo nome ma la dicitura riporta «negro».

Che cosa hanno a che fare questi fatti da cronaca minore con quanto è successo al Parco dei Principi di Parigi, uno dei tempi del calcio europeo? Piccole notizie di periferia? Niente affatto: il razzismo si annida ovunque e la lotta alle discriminazioni e ai pregiudizi va portata avanti sempre. Combattere il razzismo è responsabilità di tutti, minimizzare significa essere complici. Alcuni interpreti dello sport, noti e non, rompono l’isolamento e si stanno assumono la responsabilità di far aprire gli occhi a tutti. Ovunque: sotto i riflettori e sul territorio, in periferia, dove i riflettori non ci sono, ma il razzismo sì.


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