Alcuni giorni fa, Joāo Doria, governatore dello stato di São Paulo in Brasile, ha annunciato con grande sfoggio di retorica il programma relativo alla somministrazione gratuita della prima dose del vaccino anti-Covid ai suoi amministrati, con inizio fissato al 25 gennaio 2021.
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L’obiettivo è immunizzare 48 milioni di paulisti, con i preparati di Butantan, azienda farmaceutica brasiliana che riprende il principio attivo del vaccino cinese Sinovac, e della multinazionale inglese Astra Zeneca, che di recente ha intrapreso una partnership con la Russia per migliorare i risultati finora ottenuti attraverso una combinazione tra il suo e il vaccino russo Sputnik V.
Il passo successivo sarà di arrivare a 110 milioni di brasiliani vaccinati entro marzo 2021, circa metà della popolazione.
Doria ha richiesto la vaccinazione obbligatoria nello stato di São Paulo.
Per completare il ciclo e immunizzare tutti, sono in corso le trattative con l’altro colosso statunitense Moderna.
Doria (probabile candidato alle elezioni 2022) è stato accusato dal presidente Bolsonaro di aver fatto pressioni sospette per promuovere il vaccino cinese, ritenendolo responsabile – senza esibire prove – della morte di un volontario.
Lo stesso Bolsonaro, che aveva contratto il virus di recente, se n’è uscito alla sua maniera dichiarando ai media che non lo avrebbe reso obbligatorio finché non sarà scartata qualsiasi ipotesi di effetti collaterali gravi, rifiutandolo egli per primo.
Secondo le ultime notizie, la vaccinazione diventerà obbligatoria solo se i fornitori si assumeranno le responsabilità di eventuali effetti.
In caso contrario, chi lo vorrà, dovrà prima firmare una liberatoria che esenti gli stati federali da qualsiasi richiesta di danni. E questo pone ancora una volta nell’incertezza il cittadino ignaro.
Clorochina pietra dello scandalo
Il conflitto tra il presidente brasiliano e i governatori federali era già iniziato mesi prima sulla scelta della linea terapeutica da adottare a livello nazionale: la politicizzazione della idrossiclorochina cominciò ad aprile, quando l’allora ministro della Salute Luis Mandetta si era opposto con fermezza alla decisione di Bolsonaro di inserirla nel protocollo sanitario.
La lite portò alle dimissioni di Mandetta, a cui seguirono dopo un mese quelle del suo successore per lo stesso motivo.
Il farmaco divenne così il bersaglio preferito dei politically correct che lo etichettarono “di destra” solo per il fatto che Trump e Bolsonaro l’avessero a loro volta sbandierato come panacea di tutti i mali.
Questa diatriba ha prodotto la cantonata più grossa a livello mediatico da parte dei cosiddetti tutori della sanità mondiale, quali la discutibile OMS – le cui direttive hanno fatto acqua da tutte le parti fin dall’inizio – e riviste pseudo-scientifiche come The Lancet, che convinse OMS a escludere il derivato della clorochina dai trial, basandosi su fake news spacciate come ricerca di settore.
La rivista dovette fare poi pubblica ammenda, e OMS riprese la sperimentazione interrotta, aggiungendo un’altra perla alla sua collezione di sfondoni, tra i quali il capolavoro rimane quello della mascherina, ritenuta non necessaria ad inizio pandemia, con le conseguenze che sappiamo.
Un farmaco efficace anche se ovviamente non miracoloso, è stato al centro di una contesa che di scientifico non aveva nulla, tranne la tracotanza della faziosità. Per dirla alla Giorgio Gaber, “se la doccia è di destra, la vasca da bagno di sicuro è di sinistra”. Ciò vale soprattutto adesso, durante questa emergenza a livello planetario dove gli interessi di parte prevalgono su una procedura che dovrebbe essere basata solo su presupposti scientifici.
Tornando al vaccino, nei mesi passati ho seguito in diretta durante la mia permanenza in Brasile il percorso scaturito dagli studi dell’Università di Oxford che aveva commissionato alla casa farmaceutica inglese AstraZeneca la produzione del preparato.
AZ scelse il paese sudamericano come prima nazione extraeuropea per la sperimentazione, tenendo conto del contagio esteso in maniera capillare negli stati della Federazione e per l’alto numero di decessi, inferiori solo alle letalità registrate negli Usa.
Il mese successivo, la filiale di AZ in Brasile passò direttamente alla fase 3 – quella che precede la vaccinazione di massa – applicata su due gruppi: al primo venne inoculato il vaccino, mentre al secondo fu somministrato invece un comparatore attivo.
Come ho già scritto: “La differenza tra questo e il placebo, cioè un trattamento inattivo, è che il comparatore è un trattamento di efficacia dimostrata sulla malattia in esame”. I volontari, età compresa tra i 18 e i 55 anni, furono selezionati dopo essere risultati negativi al tampone.
Negli stessi giorni, la direttrice del Departamento de Ciência e Tecnologia, Camile Sachetti, se ne uscì con una dichiarazione incauta: il governo avrebbe prodotto, tra dicembre e gennaio 2021, 30.400.000 dosi di vaccino “con rischio” prima che il periodo di trial fosse portato a termine, cioè nel giugno 2021. Una chiara azione di propaganda per ridare lustro al blasone appannato del governo, privo di un ministro della Salute competente dopo le dimissioni di quelli precedenti, contando sul fatto che i brasiliani si sono sempre assoggettati mansuetamente alle vaccinazioni, come dimostra il proliferare degli anti-gripe (influenzali) nelle farmacie.
AZ vendette il principio attivo del suo preparato al laboratorio governativo Fio Cruz, che fu incaricato della produzione locale.
Non contenta di ciò, la Sachetti aggiunse che avrebbe consentito la sperimentazione di altre multinazionali farmaceutiche sul territorio, per avere più opzioni possibili a disposizione, scatenando la corsa all’oro brasileiro.
La pandemia intanto continua a falcidiare il Brasile, che registra quasi 7 milioni di casi, con oltre 180.000 decessi. Ciononostante, è imperativa una regolamentazione di questo Far West terapeutico, che Anvisa, la vigilanza sanitaria, da sola non è in grado di fronteggiare.
Tale anarchia si estende però a livello planetario, dove appare evidente che la speculazione finanziaria della compravendita in Borsa relativa alle azioni delle farmaceutiche supera di gran lunga la corretta informazione scientifica, affidata a testate non qualificate o a riviste che hanno già commesso errori grossolani di valutazione, come quello di Lancet sulla clorochina.
L’episodio ingigantito del presunto errore di AstraZeneca lo dimostra: durante il trial congiunto in Gran Bretagna e Brasile, su 12.000 partecipanti coinvolti, 3000 di questi ricevettero in seconda battuta solo una dose del vaccino, invece delle due prescritte per la prevenzione completa.
La notizia rimbalzò poi a Wall Street, con la perdita del 5% dello stock in Borsa, mentre ai primi del mese, in una corsa al fotofinish, Pfizer e Moderna avevano fatto il boom, con rialzi delle azioni al +15%, correlati ai dati trasmessi sul successo dei trial: prima 90% di Pfizer, superata dal 94,5% di Moderna, con il sorpasso successivo di Pfizer al 95%.
Una Febbre da Cavallo che avrebbe surclassato anche il celebre film di Gigi Proietti.
In questa guerra fatta di frazioni di percentuali, AZ era rimasta al palo ancorata a un “misero” 70%. In più è stata accusata dagli Stati Uniti di scarsa trasparenza nella trasmissione dati per non interagire con i media classici, ma solo con il Wall Street Journal e le riviste specializzate.
Da qual pulpito viene la predica!
La prova più evidente dell’ipocrisia a stelle e strisce è la mossa astuta di Bourla (nomen omen), Ceo di Pfizer, che il giorno stesso dell’annuncio del 95% di successo nel trial ha venduto 5,6 milioni di azioni dell’azienda in suo possesso realizzando un profitto mostruoso, alla faccia tra l’altro dei piccoli azionisti che hanno subito il ribasso immediato dello stock dopo una vendita di tale portata. Tuttavia, business is business e il cavallo vincente si vede solo all’arrivo, tanto per rimanere in metafora equina.
Tutto adesso è legato al Covid, e la corsa al vaccino ne è la logica conseguenza. In Brasile, così come in qualsiasi altro angolo del globo.
Conclusioni
I punti cruciali della tragicommedia pandemica sono stati appena sfiorati durante la trasmissione Porta a Porta dove era invitato il presidente di AstraZeneca Italia, Lorenzo Wittum, secondo il quale la produzione mondiale delle dosi dei vaccini è stimata intorno ai 6 miliardi, cifra ancora lontana da raggiungere, se si considera che AZ e Pfizer ne hanno in produzione circa un miliardo a testa, di cui 110 milioni per il Brasile, e Moderna solo alcune centinaia di milioni. Se occorrono due dosi per abitante, intanto si potrebbe immunizzare un quarto dei brasiliani e uno su 7 a livello globale.
L’incognita cruciale però rimane: finora i trial sono stati eseguiti solo su una fascia d’età dai 18 ai 55, escludendo a priori gli anziani, i portatori di patologie quali diabete e gli immuno-depressi, cioè proprio le categorie più a rischio di letalità da Covid: lo ha ammesso Wittum, anche se AZ di recente ha svolto con successo in Brasile un test su pazienti anziani, riscontrando un rafforzamento del loro sistema immunitario. Tuttavia è ancora presto per cantar vittoria.
L’inchiesta di Report ha confermato poi che i governi europei stanno trattando a porte chiuse con i negoziatori delle case farmaceutiche, i quali chiedono una liberatoria che escluda risarcimenti in caso di danni collaterali. Wittum non lo ha negato, trincerandosi però dietro il fatto che i cittadini saranno coperti da un’assicurazione statale.
Non è dato sapere ovviamente se sarà finanziata anche dalle multinazionali in questione.
Irbm, la consociata AZ per la produzione del vaccino a Pomezia, riceve dal Cnr 6 milioni annui di contributo per la ricerca. In Italia gli istituti privati ricevono dal governo 58 milioni ogni anno a tal scopo, mentre quella statale langue per penuria cronica di fondi.
Al contrario Fio Cruz a Brasilia, essendo alle dirette dipendenze del ministero della Salute, percepisce i finanziamenti maggiori ed è in prima linea nella sperimentazione.
In Italia alla ricerca pubblica vanno le briciole, mentre i privati fanno la parte del leone. Per cui le nostre farmacie sono tra le più care al mondo.
P.S. Chiudiamo con una nota dolente che ci riguarda da vicino: alla trasmissione di Vespa era presente tra gli invitati anche Ranieri-Guerra, il rappresentante OMS in Italia, al centro dello scandalo dopo l’inchiesta di Report – trasmessa in due puntate – incentrata sulla censura dei rapporti dei ricercatori che avevano stigmatizzato in ben 110 pagine l’impreparazione del governo italiano durante la prima ondata del virus.
Una inadeguatezza basata sul mancato aggiornamento dei piani pandemici che risalgono al 2006, e di cui la responsabilità va attribuita anche a Ranieri-Guerra che è stato direttore generale del ministero della Sanità fino al 2017. Tutto ciò per non imbarazzare il ministero, ai fini di ottenere 14 milioni del finanziamento italiano a OMS (cifra fornita dallo stesso ministro Speranza).
Alla faccia dei quasi 60.000 morti, di cui molti sono da attribuire a tali lacune.
Report ha provato tutto ciò, mostrando in diretta gli scambi email avvenuti tra Guerra e i suoi collaboratori ai quali, secondo questi documenti corroborati anche dalle testimonianze raccolte, avrebbe imposto il silenzio.
Nessuno dei giornalisti presenti da Vespa ha osato rivolgere domande a riguardo all’ex direttore.
Eppure con questo insabbiamento è stato sepolto il nocciolo della questione pandemica in Italia.
Testi e foto: Copyright of Flavio Bacchetta