Ci sono persone che non cessano mai di meravigliare. Una dote straordinaria, la loro, forse perché a loro volta, sono capaci di “meravigliarsi”. Persone cui sembrano riferirsi i versi di Giambattista Marino, quel sonetto “Il poeta e la meraviglia”: “…È del poeta il fin la meraviglia / (parlo de l’eccellente e non del goffo): / chi non sa far stupir, vada alla striglia!”.
Furio Colombo, che felicemente taglia il traguardo dei novant’anni, è una di queste persone: meraviglia e si meraviglia (un’altra sua qualità, ormai merce rara, è di coltivare saldi valori e in nome di questi, indignarsi e intignarsi). Meraviglia per la sua prodigiosa operosità: nella mia biblioteca parecchie decine di volumi; e poi gli articoli, tantissimi disseminati su riviste e quotidiani, una scrittura fluida, “semplice” e arguta, nessuna concessione all’accademia, e pur colta; per anni docente alla prestigiosa Columbia University, le mille conoscenze e frequentazioni sparse nei quattro angoli del mondo; gli eccellenti lavori per la televisione, l’impegno militante nel Parlamento italiano, presenza attiva e non decorativa come altri scrittori e intellettuali capitati come per caso…
Conosce gli Stati Uniti e gli statunitensi come pochi, e ha saputo raccontare quel paese e i suoi abitanti con amore e ammirazione, ma senza nascondere i tanti e grandi difetti, i gravi errori, gli orrori che fanno parte della sua storia.
Ci si imbatte in Furio Colombo dove meno te lo aspetti: per esempio, nel film “Enrico Mattei”, del suo amico Francesco Rosi: il ruolo dell’assistente-traduttore del fondatore dell’ENI, interpretato da un superbo Gian Maria Volonté. E’ lui che raccoglie le ultime dichiarazioni di Pier Paolo Pasolini, qualche ora prima che venga ucciso, una lancinante e profetica intervista (“Siamo tutti in pericolo”), pubblicata su “Tuttolibri”, il settimanale culturale de “La Stampa”. Attraverso le sue corrispondenze molti di noi hanno conosciuto gli Stati Uniti, non solo New York, Boston, Los Angeles, San Francisco: anche l’altra America, quella più profonda, meno scintillante, più cupa, ma non per questo meno vera. E un fuoco d’artificio di iniziative culturali, quando, per tre anni a partire dal 1991, dirige l’Istituto Italiano di Cultura di New York.
L’ennesima “meraviglia”: anni fa, Aldo Loris Rossi, allievo e amico di Bruno Zevi e Luigi Piccinato (fondatori della scuola dell’architettura organica, nata dall’idea razionalista di Frank Lloyd Wright), presenta uno dei suoi ultimi grandi lavori: il “Progetto per Napoli metropolitana, dalla Terra dei fuochi a Eco-Neapolis”; quando Rossi mi porge il volume e lo sfoglio, ecco la prefazione di Furio Colombo… Anche qui, diavolo di un’uomo! Aldo poi mi racconta che Colombo è stato per quattro anni, dal 2001 al 2005 condirettore de “L’architettura. Cronache e storia”, il mensile fondato da Zevi…
Dove abbia trovato di fare tante cose, e bene, non sono mai riuscito a capirlo. Un paio di volte ho provato a chiedergli il “metodo”, con un sorriso mi ha risposto: “Di solito faccio le cose che mi piacciono”.
Lo invidio molto Colombo: per le cose che riesce a comunicare, e per come le comunica; per le esperienze e le cose viste, “vissute”, per le persone conosciute, frequentate, per quello che ha fatto e fa e farà ancora. Lo so: continuerà ancora a meravigliare e meravigliarci. Di questo non lo ringrazieremo mai a sufficienza.