Ha ragione il Time quando afferma, in una memorabile copertina, che il 2020 è stato l’anno peggiore della nostra storia, senz’altro il peggiore dalla Seconda guerra mondiale. E ha ancor più ragione quando sostiene che sono stati dodici mesi che non vorremmo mai rivivere, tanti sono stati i lutti, le sofferenze, i tormenti, le perdite, di personaggi illustri e non, e le sconfitte, personali e collettive, cui abbiamo assistito in questi dodici mesi devastanti.
Un giorno, forse, potremo dire di aver comunque vissuto, di esserci comunque fortificati nel contesto di un martirio comune che non ha risparmiato nessuno, ma adesso no, non è il momento delle analisi e dei bilanci, è troppo presto e sarebbe irrispettoso verso chi ha perso i propri cari, morti oltretutto in un contesto di straziante solitudine.
Il 2020 è stato l’anno del Covid, l’anno che ha messo a nudo i nostri limiti, i nostri eccessivi tagli alla sanità pubblica, il nostro insostenibile modello economico e di sviluppo, le nostre disuguaglianze, le nostre ingiustizie sociali e la nostra mancanza di pietà nei confronti degli ultimi, dei deboli, di chi è rinchiuso nelle carceri e di chi pagherà un prezzo altissimo a causa di una crisi che investe molteplici ambiti e che non toccherà certo tutti allo stesso modo.
Ricorderemo il 2020 come uno degli anni peggiori della nostra vita, è sicuro; tuttavia, non sarà stato inutile se riusciremo a farne tesoro, se ci impegneremo concretamente a essere migliori, se ci batteremo per una svolta a lungo proclamata e sempre rimasta inattuata, se avremo il coraggio di fare i conti con le nostre storture, se ci impegneremo a cambiare innanzitutto noi stessi per chiedere a gran voce un cambio degli equilibri generali e se sapremo chiedere scusa per gli errori imperdonabili che abbiamo compiuto per decenni.
A livello internazionale, abbiamo assistito alla sconfitta di Donald Trump, ancor prima che alla vittoria del duo Biden-Harris, e non c’è dubbio che questa sia stata una delle poche notizie veramente positive in uno scenario complessivamente straziante. La sconfitta di Trump apre, infatti, una nuova stagione nelle relazioni internazionali, con il ritorno al multilateralismo e la fine della pericolosissima dottrina isolazionista su cui il presidente uscente ha imperniato la sua pessima presidenza.
Abbiamo assistito, inoltre, al gran finale dell’era Merkel: quindici anni che hanno cambiato il volto della Germania, proiettandola alla guida dell’Europa e rendendola un faro in un continente oggettivamente incapace di fare i conti con se stesso e con le novità introdotte dalla globalizzazione e dalla complessità delle sfide cui siamo chiamati a far fronte.
La Francia di Macron, messa in ginocchio dalla pandemia e dalle crescenti tensioni interne, pare invece disposta ad affidarsi al peggio del peggio, a dimostrazione di quanto sia inadeguata l’attuale leadership e di quanto siano lontani gli anni del gaullismo e del mitterandismo, entrambi improntati alla difesa dei principî illuministi di cui tempo quel paese era il simbolo mondiale.
Il Regno Unito arranca fuori dall’Europa e non c’è dubbio che si pentirà a breve della scelta della Brexit, soprattutto ora che l’Unione Europea ha battuto un colpo attraverso lo stanziamento dei fondi previsti dal Next Generation EU.
Sarà interessante, poi, vedere cosa accadrà a livello internazionale, a cominciare dal Brasile di Bolsonaro, la cui permanenza al potere, con l’affievolirsi del clima trumpista che lo ha generato, potrebbe essere meno agevole, e nella Cina di Xi Jinping, che sembra aver sconfitto definitivamente la pandemia e ha già ripreso a correre.
Bisognerà capire, infine, cosa accadrà in Africa, uno dei continenti più importanti di questo secolo nonché il luogo in cui potrebbbe verificarsi la vera rivoluzione culturale, il vero Sessantotto del Terzo millennio.
Questo 2020, con il suo carico di orrore, è stato un anno all’insegna dell’immobilismo che, però, ci ha consentito anche di concedere un po’ di respiro alla Terra, afflitta da uno sfruttamento smodato delle risorse naturali e dalla costante deturpazione del paesaggio, il che ci riporta al discorso iniziale sul bisogno di modificare radicalmente il paradigma economico che ci affligge ormai da quarant’anni.
Una menzione speciale la merita, in conclusione, papa Francesco, la cui enciclica, “Fratelli tutti”, è il capolavoro teorico e ideologico dell’anno che volge al termine. L’invito alla fratellanza e alla solidarietà universale rivoltoci dal pontefice dev’essere la nostra bussola, il punto di riferimento dal quale ripartire. Con meno di questo un futuro, molto semplicemente, non ci sarà. O, quanto meno, sarà appannaggio di pochi.
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