L’ultima volta che l’approvazione di una nuova legge sulle querele temerarie sembrava ad un passo è stato il 5 novembre scorso. Illusioni, speranze, poi l’ennesimo rinvio a data da destinarsi perché, è evidente, ora bisogna occuparsi di emergenza pandemica e provvedimenti economici. In realtà pur in piena emergenza sta passando anche molto altro in Parlamento e ciò alimenta il sospetto che la legge sulle querele per diffamazione a mezzo stampa non la si vuole approvare, scelta condivisa da più parti, da una maggioranza trasversale, silenziosa ed efficace. In fondo lo aveva denunciato proprio il primo firmatario, De Nicola, nel corso di un incontro organizzato da Articolo 21 e che ha preceduto di poche ore il rinvio dell’esame in aula della legge, contenuta peraltro in un testo tutto da perfezionare. In contemporanea un dossier redatto dall’Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa ha documentato l’utilizzo delle Slapp, “strategic lawsuit against public participation”, (procedimenti atti a frenare e/o limitare singoli e gruppi, in questo caso i giornalisti) in Europa e in Italia in modo particolare attraverso l’uso di azioni legali legittime per l’ordinamento giuridico, ma dall’effetto intimidatorio e lesivo della libertà di stampa. Su quel dossier e su una serie di dati statistici è partito un percorso di sensibilizzazione in ambito comunitario e la Commissione Europea ha inserito l’obiettivo di “proteggere i giornalisti e la società civile dalle querele strategiche che ostacolano la partecipazione pubblica” nel suo programma di lavoro per il 2021. Basterà? Forse sì ai fini di un processo cognitivo del fenomeno e dei problemi che ne conseguono. Ma non avrà effetto pratico alcuno, non per ora almeno, sulla legislazione interna che resta legata alle modifiche parlamentari. Nel frattempo decine di giornalisti sono costretti ad affrontare in Tribunale (dal gup alla Cassazione) denunce per articoli che contengono notizie vere e di interesse pubblico, ma al contempo scomode e dunque bersagliate da studi legali di grandi aziende, mafiosi e molti amministratori pubblici che pagano le parcelle gravando direttamente sui bilanci degli enti. In Italia tra i giornalisti più perseguitati dalle querele c’è sicuramente Federica Angeli ma, purtroppo, l’elenco è talmente lungo da far riflettere circa la reale agibilità dell’informazione.