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Pensionati in redazione. Motta e Bekar (Clan Fnsi): “Pratica da denunciare e contrastare in ogni sede”

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Chi è in pensione e sostituisce colleghi in Cig o lavora ‘in competizione’ con i precari, osservano presidente e coordinatore dell’organismo di rappresentanza dei lavoratori autonomi, «contribuisce all’avvitamento della professione dietro al miope mantra della riduzione dei costi che porterà a giornali senza giornalisti assunti regolarmente. A discapito dell’Inpgi e dei diritti di tutti».

«Ormai è un fenomeno sempre più diffuso. Il numero dei giornalisti in pensione che sostituiscono colleghi in cassa integrazione o che addirittura lavorano ‘in competizione’ con i giornalisti precari è in costante e vertiginoso aumento. Colleghi che escono dalla porta principale della professione attiva e poi rientrano dalla finestra seguendo tranquillamente le cronache o che coprono interi settori, insieme ad altri pensionati che vengono inviati a coprire eventi nazionali: è una dinamica semplicemente scandalosa che va interrotta immediatamente, non solo perché in aperta contrapposizione deontologica con la Carta di Firenze, ma perché contribuisce all’avvitamento della professione dietro al miope mantra della riduzione dei costi che porterà a giornali senza giornalisti assunti regolarmente». Lo affermano i vertici della Commissione nazionale lavoro autonomo Fnsi, il presidente Mattia Motta e il coordinatore Maurizio Bekar, che esprimono «sdegno per la pratica dell’utilizzo dei pensionati dentro e fuori le redazioni».

«È vero – aggiungono – che un giornalista che va in pensione può essere riassunto come dipendente, ma questo non avviene mai. La stragrande maggioranza dei pensionati sono infatti impiegati come collaboratori e occupano, di fatto, dei posti negli organici redazionali, alcuni lavorano addirittura dentro le redazioni per volontà dei direttori. Stare in silenzio non è più possibile perché non si parla più di un fatto marginale della professione, ma drammaticamente centrale nelle dinamiche editoriali del Paese».

Un fenomeno, proseguono Motta e Bekar, «che produce precarietà e perdita di occupazione regolare. Spetta a tutti noi vigilare affinché i colleghi titolari di un trattamento pensionistico Inpgi non vengano nuovamente impiegati dal medesimo datore di lavoro con forme di finto lavoro autonomo e inseriti nel normale ciclo produttivo, perché oltre a essere una palese violazione deontologica della Carta di Firenze, questa è una pratica che contribuisce a scavare la fossa in cui i giornalisti italiani rischiano di cadere. Così facendo, forniamo sponda a chi vorrebbe giornali scritti da collaboratori pagati una miseria con il supporto dei pensionati-scriventi, mentre i redattori finiscono all’angolo, in cassa integrazione, come dimostrano gli ultimi esempi del Giornale di Sicilia o del Quotidiano nazionale. Basta pensionati in redazione – concludono – a discapito dell’Inpgi e dei diritti di tutti».


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