Carenze più eccessi non fanno la felicità. Maradona era questo impasto di povertà infantile e ricchezza matura, che non lo ha mai portato ad un equilibrio. Da ateo del calcio non partecipo alla sua deificazione sportiva, ma trovo molto interessante la sua vicenda umana e sociale. Un calciatore deve fabbricare emozioni, spesso compensative di frustrazioni. E Maradona ne sfornava in abbondanza per il suo paese, l’Argentina, depresso dal conflitto perso con l’Inghilterra; per una città, Napoli, afflitta da povertà e criminalità diffuse. Il campione-palliativo ha dato soddisfazioni che molti hanno scambiato per dignità. Era una finzione, ma ha funzionato. E la gente gli è riconoscente per questo riscatto, anche se ricorda solo le sue giocate. Poi il calcio è finito ed è iniziato il mito. “El Gordito” – appesantito da sovrappeso e fama – ha provato a nobilitare il suo patrimonio di popolarità con la vicinanza ai rivoluzionari sudamericani – Che, Castro, fino a Chavez – per dare un senso alla sua fama. Il giocatore che non aveva limiti con la palla, ne ha mostrati nelle sue iniziative politiche. Non è riuscito a cambiare il mondo, ma ha sedato molte amarezze. Per questo, anche un non tifoso come me, lo ricorda con riconoscenza.