L’audizione tenutasi lo scorso lunedì davanti alle competenti commissioni parlamentari sulla proposta di legge di bilancio ha segnato un punto di svolta nei temi posti dal segretario della Cgil Maurizio Landini.
Insieme alle questioni importanti sì, ma certamente più arate e prevedibili inerenti alle tutele del vasto universo del lavoro e ancor più del non lavoro o del precariato, hanno fatto il loro ingresso in scena due nodi, diversi ma storicamente deboli o assenti dalla sintassi della principale organizzazione sindacale.
Per un verso il disagio dei protagonisti dello spettacolo dal vivo, quelli noti ma soprattutto i volti sconosciuti che permettono all’industria culturale di vivere. La richiesta è stata chiara: ampliare e rendere stabili gli interventi di sostegno a settori solo parzialmente considerati dai recenti provvedimenti governativi. Per una colpevole sottovalutazione, infatti, permane una visione irreale di un’attività per sua natura afasica e lontana dai modelli produttivi fordisti. Non si può insistere nel chiedere per accedere ai sostegni previsti per campi contigui una quantità definita di giorni di lavoro all’anno. Tanto più in una stagione resa impervia dalla pandemia, con la conseguente chiusura di cinema e teatri, nonché con la sospensione di concerti ed esibizioni. E con il blocco pressoché totale delle produzioni.
La richiesta di una specifica attenzione a coloro che danno lustro ad un paese considerato nel villaggio globale proprio per le sue prestigiose tradizioni artistiche.
Giustamente, poi, la struttura di categoria della stessa Cgil (Slc) – reduce da un bel convegno sulla riforma della Rai- si batte per una normativa che riconosca finalmente l’attività attoriale con un apposito registro. Insomma, attorno a simili argomenti, oggetto di una mobilitazione persino inedita con la costituzione di un fondo di assistenza da parte delle figure più affermate, Landini ha voluto chiarire che la confederazione è in prima fila, accanto alle numerose manifestazioni di questi mesi. I cosiddetti intermittenti devono essere adeguatamente tutelati e, si potrebbe aggiungere, va loro corrisposto un reddito universale.
Inoltre, è stato aperto il problema enorme dei dati personali oggi impropriamente nelle mani degli Over The Top. La vicenda è annosa, ma nell’epoca della pandemia sta toccando livelli davvero inquietanti. Perché le identità digitali sono considerate proprietà privata di Google, Facebook, Amazon (e così via), mentre dovrebbero appartenere alle persone? Non solo. Se, in una situazione di emergenza come l’attuale considerata un’eccezione dal medesimo regolamento europeo sulla privacy, il governo chiedesse di utilizzare i dati medesimi per facilitare l’opera di ricerca delle tracce del contagio, gli oligarchi della rete non dovrebbero sottrarsi.
Dopo una fase istruttoria, è arrivato l’atteso salto di qualità: il moderno conflitto del e sul lavoro ci interpella anche sull’urgenza di coniugare l’evoluzione digitale con la democrazia delle comunità in carne e ossa.
Ciò dovrebbe aprire una finestra nei molteplici convegni sull’argomento, spesso segnati da logiche meramente tecnocratiche o dallo spirito confindustriale. Il lavoro è una variabile decisiva.
Il segretario della Cgil ha persino avanzato l’ipotesi di una piattaforma pubblica, alternativa ai prepotenti gruppi privati. Se vi fosse un’iniziativa europea, capace di raggruppare i diversi momenti associativi interessati, statuali e non, l’obiettivo diventerebbe concreto.
Non possiamo morire da sudditi digitali, esercitando la nostra libertà dentro un like o un click. Tra il cielo e la terra ci sono molte più cose.
Senza enfasi retorica, è la prima volta che da parte sindacale emerge una sensibilità così forte. Il conflitto non tocca solo la consueta contraddizione tra capitale e lavoro, ma entra in territori differenti, relegati ala marginalità da un approccio fuori tempo: l’immaginario e la costruzione della cittadinanza digitale sono luoghi centrali.
Chi vincerà: un nuovo umanesimo critico o il determinismo delle tecniche, con una nuova divisione di censo?
Il tempo corre veloce e la classe operaia, giustamente, vuole andare in paradiso: il cloud è la prima tappa.