La circologia mediatica

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La falsa fatturazione a cui ricorrono i sistemi criminali per aumentare i propri guadagni rischia di essere praticata o tollerata endemicamente come “male minore o necessario”, in un mercato dove la concorrenza senza scrupoli premia i pescecani e affonda i poveri pesciolini che rispettano le regole. Viviamo in un Paese dove c’è chi trova legittimo incollare col vinavil le barriere fono assorbenti dei viadotti autostradali, che poi crollano seminando morte; cosa vuoi che sia al confronto fregare un po’ d’IVA allo Stato. Eppure gli effetti devastanti della falsa fatturazione e della collegata falsa documentazione societaria ricadono comunque sulle nostre spalle. Neppure qui ci sono barriere che tengono, e nulla impedisce a chi pratica le sofisticate Truffe Carosello di sporcarsi le mani anche in azioni criminali più brutali, dirette ad affossare la libera concorrenza e ad abbattere i costi del lavoro. In Aemilia un imprenditore, titolare di impresa ceramica, dichiara: “Nel 2012 c’eravamo resi conto che avremmo dovuto assumere dei dipendenti. Al tempo stesso volevamo ridurre e non aumentare i costi. Parlando con Floro Vito (uomo della ‘ndrangheta) era nata l’esigenza di avere qualche migliaia di euro in contanti e lui ci disse: io non ho problemi”. Il primo metodo per generare contanti (oltre 100mila euro in questo caso) lo spiega lo stesso imprenditore: “Lui ci faceva questa fattura, noi pagavamo e lui restituiva l’intero importo”. La somma ricevuta veniva utilizzata per pagare in nero le ore di straordinario effettuate dai dipendenti. Il secondo metodo sfruttava lo sconto di fatture fittizie emesse verso imprese della ‘ndrangheta: “Dette fatture venivano quindi portate in banca per lo sconto, andando ad alimentare un castelletto finanziario”.

Un altro imprenditore emiliano riceve false fatture in entrata per “creare credito d’IVA e compensare i contributi dei dipendenti”, ma anche prestiti usurai per un milione di euro, al tasso annuo del 197%, per “pagare in nero le ore che i dipendenti effettuavano”.

La recente inchiesta Work in Progress, della Procura di Parma, svela la falsa fatturazione funzionale alla conquista di particolari settori grazie a prodotti e servizi offerti a prezzi stracciati. La Guardia di Finanza ha identificato due consorzi, Steel-Tech e IFG impianti, che rappresentavano la faccia pulita della organizzazione. Acquisivano commesse e lavori, anche all’estero, nel settore della meccanica di processo per l’inscatolamento e l’imbottigliamento industriale. Poi affidavano le commesse a imprese associate, utilizzando un corposo insieme di società cartiere, almeno 18, per l’emissione di false fatture che consentivano abbattimento degli utili, compensazione di debiti e crediti, performances ineguagliabili nelle gare. Proprio in questi giorni arrivano le prime sentenze di Work in Progress, con il facoltoso imprenditore parmense Franco Gigliotti che aggiunge 6 anni e 4 mesi ai 10 anni di condanna già rimediati al processo di mafia Stige contro la cosca Farao Marincola.

Nell’inchiesta Billions a Reggio Emilia (200 indagati per un volume d’affari di 250 milioni) emerge una storica Spa del settore agroalimentare, con 170 dipendenti e un fatturato record di 100 milioni di euro, la F.lli Veroni fu Angelo Spa, che riceve secondo l’accusa fatture false per 100mila euro tra il 2012 e il 2015. Ad emetterle è una società cartiera del sistema criminale, la IPS srl, evasore totale nel 2016 e nel 2017. Segno evidente, direbbe Vespasiano, che “pecunia non olet”.

L’inchiesta Paga Globale (2018) illustra come in provincia di Parma i sistemi criminali utilizzino le società cartiere, la falsa fatturazione e le false attestazioni (finte malattie, finte crisi aziendali), grazie a compiacenti medici, consulenti fiscali e consulenti del lavoro. L’obbiettivo è ottenere ammortizzatori sociali e abbattimento di imposte, con i dipendenti all’opera 40 ore settimanali e pagati in nero (50 euro al giorno), anche se formalmente a casa per malattia.

È del 27 ottobre 2020, in ordine di tempo, l’ultima operazione condotta dalla Guardia di Finanza, denominata Daunia (antico nome del Gargano), che ha portato alla luce un’imponente frode fiscale commessa da varie società operative in territorio emiliano, con sede legale a Foggia e cuore operativo a Sorbolo di Parma. Aziende unite in un consorzio che forniva servizi nell’impiantistica industriale a prezzi altamente competitivi grazie agli illeciti risparmi fiscali. Il giro di operazioni inesistenti accertato è di 30 milioni di euro con evasione di tributi per 8 milioni. La forza lavoro necessaria ad eseguire le commesse ricevute era assunta in società che dopo 3 o 4 anni venivano poste in liquidazione. Sostituite da altre società dove gli operai, se richiesti e se necessario, venivano nuovamente assunti. Possiamo immaginare con quale tranquillità decine e decine di famiglie subissero questo obbligato turnover.

Detto ciò sulle tante facce attuali della falsa fatturazione, torniamo al punto di partenza di questo racconto: Aemilia, con le udienze di Appello nell’aula bunker della Dozza a Bologna che si avviano a conclusione. Manca le trattazioni di una trentina di casi, ma il quadro generale è già ben delineato e chiaro. La Procura Generale chiede la sostanziale conferma delle pene di primo grado, gli avvocati difensori proseguono nel loro attacco alla sentenza di Reggio Emilia e alla competenza territoriale della città del tricolore. Il 10 novembre è l’avvocato Roberto Filocamo, che assieme al collega Marco Bosio tutela Sergio Bolognino, a lanciare una nuova bordata contro il Collegio Giudicante del Tribunale reggiano. “Un Tribunale incompetente territorialmente”, dice, “e un processo di primo grado da annullare” per la decisione della Corte di proseguire le udienze dopo le schermaglie procedurali conseguenti allo sciopero degli avvocati del 23 maggio 2017. Con quella scelta, secondo Filocamo (e in precedenza secondo l’altro avvocato difensore Luca Andrea Brezigar) sarebbe venuta meno la “potestat decidendi”, cioè la capacità di decidere,  del Tribunale.

Poi c’è un altro tema, già cavalcato anche da altri difensori, sul quale l’avvocato Filocamo si sofferma: il ruolo della stampa e il lavoro dei giornalisti in relazione al processo. L’avvocato lo fa a ragione, essendo il suo assistito Sergio Bolognino l’uomo che in aula lesse il famoso proclama il 19 gennaio 2017 a nome di tutti gli imputati costretti alla carcerazione preventiva. Una richiesta precisa e argomentata: processo a porte chiuse, fuori i giornalisti. “Siamo stanchi – disse allora in sostanza – di leggere e ascoltare articoli e commenti che raccontano il processo in modo unilaterale, sposando le tesi dell’accusa senza mai dar voce alla difesa. Così si influenzano in modo scorretto l’opinione pubblica e i testimoni”.

Il giudice Francesco Maria Caruso dichiarò allora “Inammissibile per carenza dei presupposti giuridici” quella richiesta, ma l’avvocato Filocamo ritiene oggi il messaggio letto da Bolognino un “documento di pregio, importante” perché “il processo deve essere depurato da tutto ciò che esiste nel mondo” mentre nei due anni e mezzo di udienze a  Reggio Emilia sarebbe accaduto l’esatto contrario: “Un processo tutto sui media e poco nell’aula”.

Non è la prima volta che gli avvocato difensori sostengono questa tesi piuttosto curiosa e certamente antistorica, visto che almeno dal 1563, quando a Venezia viene pubblicata in Italia la prima Gaxeta (Gazzetta) utilizzando i caratteri mobili di Gutemberg, i giornali e i giornalisti seguono e raccontano i processi, soprattutto quelli importanti (lo facevano anche quando c’era la censura preventiva della Magistratura, che oggi è bandita dall’art. 21 della Costituzione). Non è la prima volta, dicevamo, ma purtroppo non è neppure l’ultima. Perché il giorno dopo dell’udienza in cui si tratta il caso di Sergio Bolognino, mercoledì 11 novembre, le Camere Penali di Modena (associazione di avvocati) commentano le assoluzioni decise nell’Appello di un processo su presunta malasanità nel modenese: “Il circo mediatico-giudiziario, in piena autonomia, fabbrica ormai quotidianamente sentenze morali, anche a discapito dell’applicazione della legge e costituisce una spina nel fianco della giustizia, sempre più difficile da estirpare. Gli inquirenti danno le notizie in pasto alla stampa, i media arringano le folle, i giudici si trovano sotto assedio e spesso vengono essi stessi giudicati, prima ancora che influenzati dall’opinione pubblica. Sarebbe utile svolgere un’analisi statistica che riveli quanti processi penali si concludono in primo grado con una sentenza di condanna per poi essere rivisitati nei successivi gradi di giudizio. Processi come Aemilia e Bibbiano, insomma”.

L’associazione degli avvocati modenesi ha evidentemente il dono della preveggenza, dando per scontato il ribaltamento in Appello delle sentenze di Aemilia e di Angeli e Demoni. Nella vicenda che riguarda Bibbiano non c’è ancora nessuna sentenza perché il processo è appena iniziata con l’Udienza Preliminare in corso; l’Appello di Aemilia non è ancora giunto a sentenza e, se proprio vogliamo essere puntigliosi, solo due casi trattati nel primo grado hanno avuto un pronunciamento in Appello: sono quelli di Pasquale Brescia e di Carmine Sarcone, la cui condanna è confermata (per fortuna ci sono i giornalisti a raccontarlo).

In attesa che le Camere Penali riescano ad ottenere il lockdown del “circo mediatico giudiziario”, facciamo allora, finché possiamo, il nostro lavoro rendendo conto di un’altra arringa di questi giorni alla Dozza di Bologna: quella dell’avvocato Salvatore Staiano, difensore di Pasquale Riillo. Staiano è avvocato di grande esperienza, che recentemente al processo di mafia per gli omicidi del 1992 a Reggio Emilia ha incassato l’assoluzione del suo assistito Angelo Greco, per il quale la procura antimafia aveva chiesto l’ergastolo. Nel trattare il caso di Riillo alla Dozza Staiano si dice sicuro che in Cassazione le argomentazioni del Tribunale reggiano non reggeranno e invita la Corte d’Appello a prendere atto della insostenibilità di questa presunta cosca di ‘ndrangheta emiliana inventata dall’accusa. Nel farlo però l’avvocato Staiano decide a sua volta di inventare qualcosa: parole. Abbiamo registrato nel suo dotto intervento i seguenti termini ed espressioni: “Cotroversialità”, “Tema imputativo” “Prova violativa”, “Comportamentalità”.

Nel Circo Mediatico, anzi, nella Circologia Mediatica, dove ognuno inventa qualcosa, c’è posto per tutti

(Per Cgil Reggio Emilia)


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