“In Africa l’omosessualità è vista come un abominio”. Intervista a Loveth, in fuga dall’omofobia

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La tratta vede la riduzione in schiavitù di uomini e donne secondo forme diverse, che vanno dallo sfruttamento sessuale a quello lavorativo, al compimento di attività illecite o al prelievo di organi, ai matrimoni forzati, all’accattonaggio.

Secondo le stime riportate da Save the Children, ammonterebbe ad oltre 40 milioni il numero delle vittime di tratta o sfruttamento nel mondo, di cui 1 su 4, 10 milioni, sarebbe minorenne. Storie in gran parte sommerse di migranti provenienti in particolare dal Pakistan e dalla Nigeria, che vedono la prevalenza di vittime di sesso femminile (68%) e non risparmiano anche bambini con meno di 8 anni.

In Italia il traffico sessuale resta la principale forma di sfruttamento registrata ai danni delle vittime di tratta, sia adulte che minori, le cui condizioni di vulnerabilità sono state ulteriormente aggravate dall’emergenza legata al covid-19, che ha spostato il circuito della prostituzione verso luoghi ancora meno visibili o all’interno delle connection-house gestite dai trafficanti.

Ad aggiungersi alla condizione di vittima di tratta, vi è, in alcuni casi, quella ulteriore dei diritti violati per i migranti LGBTI.

A tal proposito l’Ilga (International lesbian, gay, bisexual, trans and intersex association) ha pubblicato la 13° edizione dello State-Sponsored Homophobia, in cui vengono proprio tracciati quali e quante siano le persecuzioni che continuano a subire le persone Lgbti in molti paesi.

Risultano pertanto 73 gli Stati i cui ordinamenti prevedono norme che criminalizzano i rapporti sessuali tra adulti dello stesso sesso consenzienti e tra questi ce ne sono 45 (24 in Africa, 13 in Asia, 6 in America e 2 in Oceania) nei quali la legge è rivolta tanto agli uomini quanto alle donne. Dunque, circa il 40% dei paesi riconosciuti dall’Onu (193) contempla reati legati ai rapporti sessuali tra persone Lgbti.

Racconta di questa difficile realtà, Loveth, nome di fantasia, di una donna vittima di tratta e di pregiudizi, inserita all’interno del sistema di protezione per i titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati (SIPROIMI). Loveth parla in un inglese di difficile comprensione ed ha ottenuto in Italia lo status di rifugiata per il fondato timore di essere perseguitata per ragioni di identità di genere.

Quando ha fatto ingresso in Italia?

Nel 2015 sono arrivata in Sicilia.

Da quale Paese viene? Come ha raggiunto l’Europa?

Ho 24 anni, vengo dal Ghana. Ho avuto molti problemi lungo il tragitto attraverso il Togo, Niger e Libia. Il viaggio in mare per arrivare fino qui è stato molto duro.

La sua famiglia? Sa dove si trova adesso?

Sono figlia unica. I miei genitori vivono a Kumasi, ma non li sento.

Di cosa si occupava nel suo Paese?

Studiavo non lavoravo.

Le andrebbe di raccontarci qualcosa di Lei?

Ho conseguito il diploma umanistico presso l’Istituto “Westley Girls” a Kumasi, ho sempre vissuto lì, all’interno del College. Durante quel periodo il mio punto di riferimento era una ragazza più grande, senior, che si prendeva cura delle allieve più giovani. Mi faceva dei regali, cose che i miei non potevano comprarmi. Mi ha sempre detto che mi voleva bene. Dopo la scuola, sono rientrata a casa, io sono figlia unica, ed ho detto a mia madre che mi sarebbe piaciuto proseguire gli studi. Lei invece mi disse che c’era un uomo che voleva sposarmi e che avrebbe potuto permettermi di continuare a studiare.

E cosa ha fatto?

Ho detto a mia madre che non mi interessava e che non volevo sposare nessun uomo. Mi sono rifiutata di sposare lui, così come qualsiasi altro uomo. Mia madre non accettò la mia decisione, dicendomi che avrei disonorato la famiglia. Io volevo solo vivere la mia vita e comunque continuavo ad uscire con la ragazza incontrata al College.

Quanti anni aveva allora?

Io avevo 17 anni e lei 28.

Come andava la vostra relazione?

Bene, ma un giorno, a casa sua, dopo aver cucinato e mangiato, sentimmo bussare alla porta e dopo un attimo fummo arrestate entrambe. Perché quello che facevamo era illegale, così ci venne detto e ci portarono subito in caserma. La polizia sapeva che ci frequentavamo.

Dopo l’intervento dei miei parenti, io fui scarcerata, lei no, è rimasta in carcere, ma mi aveva suggerito di andare ad Accra da sua sorella.

Ha seguito il suo consiglio?

Si, ma anche lì la gente mi guardava male perché sapevano…e tutti mi odiavano.

Perché la odiavano?

Io sono lesbica.

Quando lo ha capito?

Avevo 17 anni e non sentivo niente per gli uomini, ero attratta invece dalle donne, vedere una donna mi rendeva felice. Per gli africani le persone omosessuali sono abominevoli, for african people omosexual are obominetion.

Quanto è durata la sua storia con questa donna?

4- 5 anni.

Aveva avuto dei ragazzi prima? O altre relazioni?

No nessun ragazzo, ma una ragazza, un’altra studentessa.

Cos’è successo dopo?

Sono rimasta ad Accra per tre mesi e poi sono stata costretta a lasciare il Ghana, perché la Polizia mi aveva detto che se avessi avuto l’intenzione di frequentare persone del mio stesso sesso, sarei dovuta andar via, nel mio Paese non era consentito. E’ stata dura andare in strada e dovermi prostituire, non lo immaginavo, ma dovevo restituire i soldi prestatimi per il viaggio.

Come si immagina fra qualche anno?

Mi basterebbe accanto ad una persona che mi ama.

Cosa si aspetta dalla sua nuova vita? Le piacerebbe restare in Italia?

Mi aspetto di trovare un lavoro, di ottenere i documenti, di essere felice. Ma credo di volermi trasferire da qui.


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