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End Impunity day, dal 2000 uccisi 1500 giornalisti. Troppi ancora senza giustizia

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Una stampa libera è essenziale per una democrazia. Un’informazione vigorosa può denunciare la corruzione, far luce sugli abusi dei diritti umani e fornire al pubblico notizie essenziali durante emergenze e crisi, come quella della pandemia di Covid 19 in corso.
In molti luoghi, i giornalisti rischiano attacchi da parte di regimi autoritari e organizzazioni criminali che cercano di reprimere la libertà di stampa e la libertà di espressione. Dall’inizio del secolo sono stati uccisi più di 1.500 operatori dell’informazione in tutto il mondo e nell’85% dei casi gli assassini sono rimasti impuniti.
I giornalisti di tutto il mondo devono affrontare molestie, minacce, detenzioni arbitrarie e procedimenti penal ​​politicamente motivati. Durante la pandemia, i governi autoritari in Cina, Venezuela, Iran, Egitto ma anche in Europa, su tutti il caso Ungheria, hanno usato il Covid-19 come scusa per intimidire, attaccare e arrestate i reporter scomodi.
Nella Giornata internazionale per porre fine all’impunità per i crimini contro i giornalisti, Articolo 21 insieme alle altre organizzazioni per la difesa del diritti alla libertà di informazione chiede ai governi di intraprendere indagini indipendenti e trasparenti su minacce, attacchi e omicidi quando si verificano; porre fine ad abusi da parte di forze di sicurezza e polizia che maltrattino i giornalisti; e aboliscano le leggi e le pratiche che limitano la loro azione.
In Italia, grazie al segretario di Usigrai Vittorio di Trapani, la Rai ha proiettato sulla facciata della sede di viale Mazzini i nomi degli 80 giornalisti assassinati è ancora in attesa di verità e giustizia.
Mai come quest’anno, alla vigilia della sentenza per il processo per la morte di Andrea Rocchelli e Andrej Mironov, uccisi in Ucraina nel 2014, e dopo l’uccisione di Jamal Khashoggi, fatto a pezzo nel consolato saudita a Istanbul, e.di Daphne Caruana Galizia, fatta saltare in aria nella sua auto a Malta, l’End Impunity Day indetto dall’Onu acquisisce un significato e una rilevanza ancor maggiori.
Daphne, Jamal, Andy e Andrej erano colleghi liberi, coraggiosi ma non sprovveduti. Nonostante questo sono caduti vittime di chi ha voluto porre fine al loro impegno nelle inchieste contro corruzione e violazioni dei diritti umani.
Per tutti loro,  77 colleghi assassinati semplicemente per aver fatto il proprio mestiere, giustizia non è ancora compiuta.
Per alcuni non lo sarà mai.
Una vera e propria emergenza che dovrebbe mobilitarci tutti a sostenere lo stato di diritto mettendo in campo ogni sforzo comune, a livello globale, per chiedere ai governi di porre fine alle impunità per questi crimini.
Per Jamal, Daphne, Andy e tutti gli altri colleghi sacrificati sull’altare del giornalismo libero e indipendente.


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