Sergej Dovlatov fu scrittore tra i maggiori del secondo Novecento russo e, come l’amico poeta Josif Brodskij, dovette lasciare il suo paese per dare sfogo alle proprie aspirazioni, soffocato da un sistema che odiava il genio ed esaltava la mediocrità, seppur competente, di scribacchini irreggimentati.
Nella gelida − non solo per il clima − Leningrado dei primi anni Settanta del Novecento, la città è in fermento per i festeggiamenti legati all’Anniversario della Rivoluzione. Il film racconta sei giorni di vita dello scrittore che si muove tra amici artisti, poeti scrittori, esiliati dai canali ufficiali del regime e impotenti di fronte al confinamento: gli è di supporto l’affetto della figlia Katya e il pragmatismo, che si contrappone al suo idealismo, della moglie Lena, punto di riferimento costante pur nella turbolenta relazione. Per tutta la durata del film si contrappone la grandezza di un intelletto profondo e sublime come quello di Dovlatov alla bassezza della sua condizione pratica. I tentativi di acquistare una ‘bambola tedesca’ da regalare a Katya per dimostrarle di non essere un padre fallito, faranno da sottofondo a tutti i pensieri del protagonista, sottolineando il contrasto tra la grandezza dei suoi ideali e l’umiliazione di un quotidiano squallido, l’impotenza di fronte all’inattuabilità di vendere il proprio lavoro, senza prostituirsi, anche solo per racimolare i pochi soldi che servono per il regalo alla figlia. La pubblicazione dei suoi articoli sempre negata proprio per l’intelligente ironia, incomprensibile a un sistema che si è conformato a un facile compromesso – io aderisco all’ideale sovietico senza applicare la critica e lo stato mi mantiene – con cui la rappresentazione della rivoluzione reale è messa alla berlina. Il sentimento di impotenza, nelle cadute e nelle successive impennate di orgoglio, non possono intaccare la statura di Dovlatov, impersonato da un bravissimo Milan Marić, oggi ormai universale, sebbene l’ambìta mèta d’essere riconosciuto – «se non vieni pubblicato è come se non esistessi» dirà lo scrittore, «e io sono stanco di non esistere» – gli verrà garantita solo dalla storia. Dovlatov sarà eletto come uno degli scrittori più amati e più grandi del suo paese solo dopo la morte avvenuta presto, esiliato in USA e a soli quarantanove anni.
La Russia che ci viene presentata con lo sguardo disincantato, acuto e ironico di Dovlatov è un paese dove la polizia politica è più indolente e stupida che crudele: dopo l’apertura e il vento di libertà degli anni Sessanta la depressione e l’apatia prendevano il sopravvento sui giovani intellettuali, quasi tutti trentenni che cercavano con il loro fermento di portare vivacità nella Leningrado dei primi anni Settanta. Le case editrici, i giornali ridicolmente colpevoli di non perseguire alcuno scopo se non mantenere lo status quo di posizioni inalterabili. Una miriade di nullità soggiogate dallo stato del Soviet, come in un labirinto senza uscita per una comunità sedata e tarda, dove individui senza alcuna lucidità sono chiamati a interpretare grandi del passato come Gogol, Tolstoj e Dostoevskij in un film celebrativo che la penna di Dovlatov metterà alla berlina prendendosi una rivincita priva di premio.
Il film utilizza spesso la prosa dello scrittore, che è restituito nella sua fisicità imponente, non si dimentichi che egli era uomo di bellezza non comune, e ricostruisce con rigore la metropoli grigia, gli enormi edifici comunali attorno alla via Rubistein dove si discuteva fino all’alba seduti intorno a enormi banconi, in un onanistico e inconcludente tentativo di trovare una strada per la libertà. Così dal film esce una lettura affascinante, lontana da qualunque banale lezione occidentale, della Russia sovietica. Un quadro reale del regime che, proprio in quegli ultimi decenni del comunismo prima della caduta, era diventato soprattutto il regno dell’idiozia. Idiozia a cui si contrappone un uomo solo, frustato e irrequieto ma consapevole della propria grandezza eppure dubbioso del valore della protesta in un brulicar di esistenze inquadrate e per questo inutili, assopite nella nebbia di un pensiero spento.
DOVLATOV
- Regia: Aleksey German Jr.
- Cast: Milan Maric, Danila Kozlovsky, Elena Lvadova, Svetlana Khodchenkova, Anton Shagin
- Genere: Drammatico, colore
- Durata: 126 minuti
- Produzione: Russia, Polonia, Serbia, 2017
- Distribuzione: Satine Film
- Data di uscita: n/d