Nel dibattito pubblico sulla pandemia e le misure che progressivamente prende il Governo sembra prevalere l’atteggiamento di chi, allarmato dai dati, obiettivamente preoccupanti, lamenta la difficile comprensione delle regole via via più stringenti (i DPCM, molto complessi e spesso difficili da comunicare) e invoca la misura drastica di un lockdown generalizzato. Sarebbe indubbiamente la misura più semplice, ma anche quella più preoccupante, per l’azzeramento di tutti gli altri valori.
Su un altro versante, tutt’altro che inascoltati, stanno coloro che gridano alla compressione delle libertà fondamentali e alla “dittatura sanitaria”, incluso chi, in altri periodi, con grande disinvoltura, invocava “i pieni poteri”.
Non voglio disprezzare l’atteggiamento di chi, in buona fede, sostiene queste tesi, ma voglio provare a descrivere, in maniera semplificata, quella che a me pare, la filosofia del nostro sistema decisionale. Non molto diverso, in fondo, da quello che scorgo negli altri grandi paesi europei.
Per un costituzionalista i problemi più gravi sono quelli che riguardano la compatibilità tra le misure adottate ed i nostri principi costituzionali. La tutela della salute (valore primario) deve essere bilanciata con gli altri valori e diritti costituzionali (eguaglianza, libertà personale, circolazione, soggiorno, riunione, religione, istruzione, cultura, pensiero, diritto-dovere al lavoro, libertà d’iniziativa economica)
Quest’atteggiamento preliminare è scolpito in maniera formale in tutti i testi normativi in cui si fa riferimento esplicito al criterio della “proporzionalità” e dell’ “adeguatezza”.
Non vorrei semplificare troppo le cose, ricorrendo ad un’immagine, ma il nostro sistema decisionale, assomiglia ad un tavolo, solidamente poggiato su quattro gambe, al di sopra del quale vedo una bussola ed un sofisticato sistema, regolatore dei flussi.
La bussola è essenzialmente in mano agli scienziati, il CTS, l’ISS, gli esperti che raccolgono, leggono i dati e li trasmettono al decisore politico. Questo decisore non è un singolo, ma una complessa cabina di regia, che coinvolge Governo e Regioni e che, secondo uno schema fondato sulla legge, determina in maniera calibrata apertura e chiusura di quel rubinetto che regola le varie attività e i movimenti delle persone. Mi sembra, molto più responsabile questo schema, rispetto alla misura del lockdown totale che, al di là dell’apparenza, ha pochi esempi in questo momento.
Vediamo dunque rapidamente quali sono le quattro gambe del tavolo che regge i due strumenti richiamati.
La prima gamba è quella dello stato di emergenza: dichiarato, sulla base del Codice, ben conosciuto, della protezione civile (d.lgsl.n.1/2018), per la prima volta il 31 gennaio 2020 e prorogato, con successivi atti, fino alla stessa data del 2021. Di fronte alla gravità della pandemia, poche persone di buon senso dubitano del fondamento di questo intervento. Il Codice della protezione civile consente di intervenire, per far fronte all’emergenza, con ordinanze temporanee, che non sono poi molto diverse dai famosi DPCM.
La seconda gamba è costituita dal rapporto Stato Regioni. Anche in questo caso niente di nuovo sotto il sole. Le competenze in materia sanitaria sono regolate dalla Costituzione e dalla legge istitutiva del Servizio sanitario (l.n.883/78). E’ stato spiegato molto bene su questo giornale, come la nostra Sanità sia una competenza ripartita tra Stato e Regioni e quali siano le rispettive competenze. Negli ultimi provvedimenti è stato detto con chiarezza che le regole generali devono essere stabilite in maniera uniforme (Stato), ferma restando la possibilità di misure territoriali più restrittive (Regioni). Anche se le ultime ordinanze istitutive delle zone arancioni e rosse sono a firma del Ministro Speranza, ai sensi dell’art.32 legge n.883/78, sentiti i Presidenti delle Regioni interessate.
La terza gamba del tavolo è costituita dai decreti-legge. Questi sono fonti primarie, emanate dal Presidente della Repubblica e convertite dal Parlamento. Le uniche fonti pensate per casi straordinari di necessità e di urgenza e le uniche disposizioni che possono bilanciare le libertà costituzionali. In questi mesi sono stati emanati molti decreti legge, ma quello che costituisce l’ossatura della nostra terza gamba è soprattutto il d.l. n.19 del 2020,variamente integrato, che prevede, all’art.1, una trentina di “casi” nei quali è possibile regolare, movimenti delle persone, aperture e chiusure delle attività, modalità di lavoro ecc.
La quarta gamba è costituita dai DPCM. Sono disposizioni ben conosciute: un modello non molto diverso dalle “ordinanze”. Costituiscono uno strumento duttile e tempestivo. Ci si lamenta perché sono minuziose. Ci si lamenta perché sono troppe. In realtà sono disposizioni che si limitano ad attuare i decreti legge ed hanno un’efficacia limitata nel tempo. I dpcm non si accavallano gli uni con gli altri, perché gli ultimi assorbono il contenuto di quelli precedenti. Per non creare confusione, con la sola indicazione del giorno di emanazione, sarebbe utile dar loro un titolo divulgativo, come avviene per i decreti-legge. Questo faciliterebbe anche la comunicazione. L’esempio migliore è proprio quello dell’ultimo DPCM del 3 novembre: il cosiddetto DPCM delle tre zone (gialla, arancione e rossa). Questo assorbe tutti gli altri, dura un mese fino al 3 dicembre e ci auguriamo che possa essere anche quello più efficace.
Fonte: Il Fatto Quotidiano