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Covid: dire meno? No, dire meglio

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Anno 2020, mese 10 della pandemia da Sars-CoV-2. Ogni giorno dati e grafici descrivono l’andamento dei contagi e dei ricoveri, il nostro sistema sanitario non sta benissimo, ma come si sente il nostro sistema dell’informazione? Se ne è parlato a fondo nell’edizione appena conclusa del Premio Roberto Morrione per il giornalismo investigativo, intitolato non a caso «Antivirus». Ci si è domandati quanto fosse concreto il danno dell’“infodemia” come l’hanno chiamata molti, fra cui l’Organizzazione mondiale della Sanità sin dalle prime settimane dell’emergenza. Nel bel mezzo della peggior crisi sanitaria dell’ultimo secolo può sembrare un tema secondario, ma non lo è, per tanti motivi.

La gestione della pandemia presuppone necessariamente la partecipazione dei cittadini, chiamati a essere parte attiva della soluzione, adottando i comportamenti utili a prevenire i contagi, governando i complicati percorsi di test e tracciamento, accettando limitazioni alla capacità di lavorare, muoversi, andare a scuola, mantenere relazioni. Sono richieste alte, che presuppongono un livello altissimo di consapevolezza civile, impossibile senza l’accesso a un’informazione indipendente e di qualità.

Questa è la teoria. Nella pratica, l’urto del Covid-19 ha investito il lavoro giornalistico e l’industria editoriale in un momento di crisi epocale. La prima pandemia nell’era dei social network ha naturalmente alimentato un bisogno esponenziale di informazione che in molti casi ha prodotto una risposta patologica, infodemica, appunto. Numeri e statistiche utilizzati troppo e male hanno talvolta prodotto il contrario di quanto avrebbero dovuto: confusione, incapacità di comprendere, diffidenza verso le istituzioni e la comunità scientifica.

Bisogna dire meno, allora? No, bisogna dirlo meglio, dandosi qualche regola di fondo nel rispetto del lettore e dell’etica del mestiere, che quando si parla di salute pesa il doppio.

Primo: la regola del denominatore. Ovvero, non si dà un’informazione senza spiegarne il contesto. Troppo semplice cavarsela con il dato nudo, troppo alto il rischio di fraintendimenti. «41 medici positivi» in un grande ospedale è una notizia. «41 medici su 2.500 positivi» è una notizia corretta, che usa il denominatore, che dà un contesto. E la differenza la fa il fatto che il giorno dopo forse ci saranno più pazienti informati e meno pazienti spaventati che chiamano per annullare esami importanti. Al denominatore stanno, a esempio, anche i volti, i nomi e le storie dei “deceduti per Covid-19”. Le vite dei “positivi”, “asintomatici”, “soggetti a rischio”. Questo contesto umano è stato raccontato dal buon giornalismo.

Secondo: riconoscere i ruoli. Istituzioni, ospedali, medici, centri di ricerca, giornalisti, divulgatori scientifici, che a volte nel gioco delle parti assumono le vesti altrui, cedendo una parte importante delle proprie responsabilità e rendendo un servizio, se non cattivo, meno buono di quanto avrebbe potuto essere. Va da sé che anche l’audience, il lettore, ascoltatore o utente, ha la sua responsabilità nel viaggio tortuoso dell’informazione verso la conoscenza: scegliere le fonti e darsi il tempo di comprendere prima di esprimere giudizi (e qui si dovrebbe pensare al prezzo dell’analfabetismo scientifico e tecnologico che stiamo scontando).

Terzo: tornare ai fondamentali. Chi fa informazione, che abbia o meno un tesserino dell’ordine o – cosa assai più rara di questi tempi – un contratto di lavoro in tasca, deve attenersi ai principi guida del diritto di cronaca: verità, pertinenza, continenza. In altre parole, deve dire cose vere, di interesse pubblico ed esposte in maniera corretta.

Quarto: accettare la complessità, che va comunicata, non nascosta con l’enfasi di certezze altalenanti. Io credo che l’opinione pubblica abbia ben chiaro, oggi come non mai, quanto la scienza sia importante per migliorare la vita di tutti. Una scienza che procede a piccoli passi, con metodo, che a volte non ha soluzioni o risposte. Occorre un grande sforzo di chiarezza e di onestà, sono queste le chiavi per recuperare la fiducia dei cittadini.

*giornalista professionista, dirige il sito della Fondazione Umberto Veronesi


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