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Con Proietti se ne va anche Casanova

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«Son contento di morire ma mi dispiace// mi dispiace di morire ma son contento.» Così cantava Gigi Proietti, imitando la vocetta strafottente e nasale di Ettore Petrolini in uno dei suoi cavalli di battaglia. Era il 1971 ed eravamo in procinto di registrare negli studi della RAI la puntata di “Come ridevano gli Italiani” dedicata al celebre comico romano dei decenni precedenti l’ultima guerra.

Il programma in numerose puntate ripercorreva la comicità cinematografica dal Cinema Muto alla vigilia della Commedia all’italiana, esplosa contemporaneamente al Boom economico, al primo consumismo, alla motorizzazione, al benessere diffuso, a La dolce Vita e al cambiamento epocale che il nostro Paese ha conosciuto in quegli anni, definiti in seguito, non a torto, favolosi.

Sulla rete ora trovo unicamente una citazione nel lungo saggio di Fabrizio Natalini: ENNIO FLAIANO, IL VIAGGIATORE SCONTENTO: “Nell’ottobre del 1971 (Flaiano) cura, assieme a Gianfranco Angelucci, le prime quattro puntate della trasmissione televisiva Come ridevano gli italiani, per la regia dello stesso Angelucci, dedicate ad alcuni grandi comici del cinema muto: Polidor, Cretinetti, Tontolini, Cocciutelli, Robinet.

Il programma è stato inghiottito dal tempo, ma è restato indimenticabile quel momento magico dell’incontro con Proietti. Venticinque anni io, trentuno Gigi, non ancora un mito ma già lanciatissimo nel mondo dello spettacolo, soprattutto teatrale, perché dotato di una forza scatenata, da elemento stesso della natura. Già si parlava di lui come del nuovo Gassman, che del resto Gigi imitava perfettamente e in esibizioni estemporanee esilaranti. Sapeva far tutto: cantare, recitare, imitare, motteggiare, raccontare barzellette, e teneva il pubblico inchiodato ad ascoltarlo per ore, da solo in scena e senza sforzo. One-man-show, incontrollabile, inesauribile, straripante: la sua vera vocazione, il suo ruolo più autentico. Insieme alla segretaria di redazione del programma, eravamo andati a Milano per concludere gli ultimi accordi per l’impegno artistico dell’attore. Mentre assistevamo alla rappresentazione di Alleluja brava gente, a un tratto la giovane signora si era accostata al mio orecchio confessandomi, incredula lei per prima, la sua intrattenibile eccitazione. Una prova incontrovertibile di quale natura fosse il magnetismo animale del teatrante, autentico fenomeno da proscenio. La sua irruenza fisica, la sua prepotenza somatica, che hanno contribuito a renderlo un gigante sulla scena, allo stesso tempo gli ha impedito paradossalmente di diventare il grande attore cinematografico che ci saremmo aspettati. Gigi veniva penalizzato dalla macchina da presa che interpone tra l’interprete e lo spettatore il diaframma dell’obiettivo; quel ‘pezzo di vetro’, come lo chiamava a volte Federico, ne neutralizzava la fisicità per così dire materiale, la mobilità della maschera facciale, l’elasticità del corpo, diciamolo pure, il diluvio ormonale. Attenuate queste caratteristiche uniche e fuori misura, affiorava l’istrionismo; che sullo schermo non funziona quasi mai, se non per i caratteri di spalla, le macchiette. Esattamente all’opposto di Proietti che era un protagonista nato di ogni ribalta. E tale rimaneva anche in televisione, un mezzo più vicino allo spettacolo dal vivo, alla commedia dell’arte, al teatro popolare in diretta.

Dopo quel nostro primo incontro professionale a Milano, e a seguire la collaborazione a Roma nello studio di Via Teulada, in pochi anni Proietti era diventato un fenomeno inarginabile. Con Fellini andavamo ad applaudirlo al Teatro Tenda di Carlo Molfese, dove ogni sera garantiva il tutto esaurito con “A me gli occhi, please”. E per un breve istante il regista accarezzò anche l’idea di fargli indossare le livree di Casanova. La parte, come è noto, andò a finire sulle larghe spalle di un attore di lingua inglese, Donald Sutherland, hollywoodiano ma di origine e formazione canadese. Però al termine delle riprese, al momento del doppiaggio, Federico si ricordò di lui. C’erano varie opzioni per assegnare la voce italiana al Cavaliere di Seingalt, tra gli altri Giancarlo Giannini. Alla cernita finale il regista, tra Enrico Maria Salerno e Gigi Proietti, aveva preferito l’attore romano.

Perché era un insuperabile fantasista, del genere che amava sopra ogni altro. Proietti riuscì a conferire al personaggio quel carattere magniloquente e vanesio, vuoto e compiaciuto, che Fellini gli aveva assegnato dentro di sé. L’attore, che in quella stagione stava vivendo un momento  di esaltazione personale, sentimentale, era esuberante, felice, gagliardo, e sotto la guida di Federico aveva costruito un autentico capolavoro vocale ed espressivo. Cancellata ogni minima traccia di romanesco, utilizzava un’enfasi alla Vittorio Gassman ma depurata da ogni birignao da palcoscenico; e sfumava l’eloquio, all’occorrenza, persino con una impercettibile venatura di veneziano. Gigi usava un suono grave di petto, che al bisogno sapeva assottigliare in acuti di testa, raffinate filature da belcantismo, arrischiandosi così nelle pieghe più riposte di ogni sentimento: roboante e tenero, smargiasso e vulnerabile, invariabilmente intriso di un erotismo molecolare, ma con dentro pur sempre una nota infantile, e l’incrinatura patetica di una dignità ferita. Un portento di equilibrismo vocale.

Ancora oggi, riascoltandolo, si resta ammaliati da come l’attore sia riuscito a immergersi anima e sangue dentro un personaggio che pure non era reale in senso storico, nessuno di noi può sapere come parlasse davvero Casanova, bensì un ectoplasma ‘mentale’ concepito da Fellini al di fuori di ogni realismo. L’attore aveva restituito una raffigurazione fonica fedelissima a come l’autore voleva che il personaggio risultasse: un burattino umano, un altro dei suoi stupefacenti Pinocchi.

Seguire Proietti nei turni di doppiaggio, mentre Federico standogli accanto gli spiegava pure le virgole, era davvero una festa imperdibile; lo spettacolo imprevisto arrivava quando, fingendo di recepire le correzioni del regista, Gigi all’improvviso, con faccia serissima, doppiava il personaggio imitando Vittorio Gassman, oppure, per l’ilarità di Fellini, assumendo timbro e intonazione di voce dei suoi presunti concorrenti, Enrico Maria Salerno, Giancarlo Giannini, Sbragia. Poche studiate battute, prima di abbandonarsi a intrattenibili accessi di riso, contagioso fino alle lacrime.

Un’idea di ciò che avveniva durante i turni di incisione è possibile ritrovarla nel servizio che girai per un programma televisivo di RAI 2, allora in gran voga, intitolato Odeon-Tutto ciò che fa spettacolo. È consultabile per intero su Youtube: https://www.youtube.com/watch?v=56sWvQU5dBU

Caro insostituibile amico di tutti i salotti italiani, che rabbia, che invidia sapere che da ieri notte starai ridendo a crepapelle Lassù, in esclusiva per i tuoi sterminati ammiratori celesti, lasciando noi a bocca asciutta. Per favore, se puoi alza la voce.


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