Calabria, il sistema politico mafioso che tutti conoscono, ma fanno finta di non vedere  

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L’inchiesta che ha portato all’arresto di Domenico Tallini, per gli amici “Mimmo”, presidente del consiglio regionale della Calabria, conferma quello che la politica regionale (anche nazionale) ha sempre considerato un teorema fatto solo d’ipotesi. Magistrati come Cafiero De Raho, responsabile della Procura nazionale antimafia e Nicola Gratteri capo della Dda di Catanzaro hanno sempre affermato che in un certo periodo storico è stata la mafia, la ndrangheta, la camorra a bussare alle porte della politica, ora è la politica che bussa alle porte della criminalità organizzata. L’inchiesta “Farmabusiness” della Dda di Catanzaro mette anche in evidenza un altro aspetto inquietante già denunciato da diverse procure sul territorio nazionale: la mafia si sta “affermando” nel business della distribuzione dei farmaci e potrebbe avere un ruolo determinante nella distribuzione dei vaccini legati alla pandemia covid 19. Il sistema per la distribuzione dei farmaci messo in piedi dalle società riconducibili al clan Grande Aracri di Cutro, in provincia di Crotone, non riguarda solo la Calabria, ma tante altre zone del territorio nazionale, come l’Emilia Romagna con il coinvolgimento di farmacie e parafarmacie.

Tuttavia la parte preoccupante che emerge dall’inchiesta è il fatto che la politica non ha più gli anticorpi e risulta  permeabile dalla criminalità organizzata. Lo dimostra la storia politica di Domenico Tallini da questa mattina agli arresti domiciliari con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio. Inizia la sua carriera nel Movimento Sociale Italiano poi nel 94 fonda“Calabria Libera”. Questa compagine insieme a “Sicilia Libera” rientra nell’inchiesta sul processo alle cosche siciliane che in quel periodo cercavano di fondare un proprio partito nazionale. Vicenda ancora non del tutto chiarita con pentiti che tirarono in ballo il nome di Marcello Dell’Utri ed alcuni esponenti della Lega Nord. Successivamente Tallinisi candidò con Forza Italia prima e l’Udeur poi, nella cui formazione fu eletto per la prima volta in consiglio regionale nel 2005. Nel 2010 fu riconfermato, questa volta nella lista del Pdl e diventò anche assessore al personale. Fu in quel periodo che si avvicinò alla cosca Grande Aracri. Secondo gli inquirenti era a conoscenza che la società cui diede una mano, quando era assessore nella giunta Scopelliti fino al 2014, fosse diretta dal clan Grande Aracri. In cambio ottenne l’appoggio della cosca. Dall’indagine emerge anche che fu lui a chiedere l’assunzione del figlio che entrò nel direttivo della società, ma quest’ultimo dopo poco  tempo chiese al padre di uscire dal sodalizio, spaventato dalla caratura criminale del clan. Costretto dal genitore a rimanere nel sodalizio, i due litigarono. Alle regionali del gennaio 2020 nonostante il suo nome risultasse tra gli impresentabili nell’elenco della commissione antimafia per un rinvio a giudizio per corruzione, venne candidato da Forza Italia. Fu eletto con oltre ottomila preferenze. Grande polemica ed imbarazzo suscitò all’interno della maggioranza la sua nomina a presidente del consiglio regionale, nomina voluta anche dalla presidente eletta della giunta Jole Santelli e polemiche ed imbarazzo hanno suscitato pochi mesi fa le sue dichiarazioni sul fascismo (non era razzista ed avrebbe civilizzato i paesi africani). Tallini è stato anche accusato dall’opposizione di aver effettuato una serie di nomine, tra cui alcuni suoi portaborse, inserite nel decreto di scioglimento approvato nell’ultima riunione del consiglio lo scorso 10 novembre.

Ora in Calabria si parla già di altre inchieste che potrebbero coinvolgere altre parti della politica regionale, inchieste già in corso sulla sanità dove ancora non è stato sciolto il nodo sul commissario. Il problema è che la politica e la società calabrese sanno bene quel che succede in regione, ma quasi tutti fanno finta di non vedere .


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