Fin dal Rinascimento esiste in Europa un razzismo specifico per i rom/roma, sinti, calé/kale, manouches e romanichals, i gruppi della popolazione romanì che vengono definiti dispregiativamente «zingari”»
Fin dal Rinascimento esiste in Europa un razzismo specifico per i rom/roma, sinti, calé/kale, manouches e romanichals, i gruppi della popolazione romanì che vengono definiti dispregiativamente «zingari”».
Come per gli ebrei esiste l’antisemitismo, allo stesso modo per i gruppi romanès esiste un razzismo che viene definito antiziganismo o romfobia.
Il razzismo si alimenta di mistificazioni e di stereotipi negativi che giustificano la discriminazione su base etnica.
Le comunità romanès furono accusate di ogni nefandezza pur di giustificare la loro repressione: dall’accusa di cannibalismo all’accusa di propagare la peste, dall’essere spie al soldo dei turchi ottomani all’aver forgiato i chiodi per la crocefissione di Cristo (la popolazione romanì neanche esisteva al tempo di Gesù).
A queste accuse si sommavano quelle di essere ladri, imbroglioni e criminali in ogni epoca quando contemporaneamente c’erano famiglie romanès oneste e più che integrate ma non facevano testo.
Non poteva passare inosservato il vagabondare di molte famiglie che non riuscivano a stabilizzarsi (la mobilità era in realtà coatta poiché le comunità romanès non potevano sostare o integrarsi in alcun luogo) che contravveniva ad uno dei principi cardini delle società passate: il dovere di lavorare la terra per il bene comune.
Stereotipi su stereotipi accatastati durante secoli che hanno portato alla situazione moderna: un odio razziale viscerale.
Durante la Seconda Guerra Mondiale il nazi-fascismo attuò un genocidio sistematico e almeno 500 mila persone furono barbaramente massacrate dalle truppe d’assalto e nei campi di sterminio per ciò che viene ricordato in lingua romanì come Samudaripen (letteralmente «tutti morti» come sinonimo di «genocidio»).
Oggi come nel passato esistono famiglie romanès integrate come famiglie romanès emarginate e ancora oggi, esattamente come nel passato, a finire nelle cronache sono le famiglie emarginate e deboli socialmente mentre quelle oneste che vivono tranquillamente e non toccano le facili corde dell’emotività non esistono nell’immaginario collettivo.
Da qui il preconcetto che tutti i rom sono disonesti o persone da cui tenersi alla larga. Questa discriminazione su base etnica influenza le decisioni sul piano politico con ripercussioni a livello sociale: per le famiglie emarginate è sempre più difficile essere incluse. I rom e sinti italiani sono relegati nei quartieri ghetto e i rom stranieri reclusi nei «campi nomadi».
Ad approfittare di questa situazione di fragilità ci pensano gli opportunisti senza scrupoli e Mafia Capitale ci ha fatto ben intendere perché devono esistere i «campi nomadi» per un popolo che in realtà non è nomade per cultura.
I campi nomadi sono vere e proprie pattumiere sociali e forme orrende di segregazione razziale non degne di un Paese civile e democratico.
I campi nomadi costano un’infinità di milioni di euro e non risolvono i problemi legati all’antiziganismo, ma al contrario li acuiscono.
Con meno soldi e con un’avveduta programmazione politica si potrebbero ottenere risultati sorprendenti sul piano dell’inclusione con vantaggi concreti per tutti. A molti però questa situazione «rende» da un punto di vista politico e mediatico e alle associazioni di pseudo volontariato da un punto di vista economico.
A livello sociale si verificano i maggiori danni in termini di conflittualità.
L’antiziganismo così alimenta un circolo vizioso che reca danni a tutti. Solo la giusta conoscenza, la corretta informazione e l’incontro/confronto può favorire il superamento di secoli di incomprensioni.
Fonte: Riforma.it