5 Stelle, ma nessuna cometa. Cioè un progetto in grado di mostrare la via al Movimento per uscire da una successione senza testamento dopo la fine dei garanti e il rigetto della piattaforma Rousseau. Lo sbocco naturale sarebbe quello di diventare un partito, ma solo la parola provoca crisi di panico. Di Battista punta sul soggetto etico, che indica il bene, ma senza sporcarsi le mani con alleanze per realizzarlo. Di Maio non ha grandi messaggi e allora la butta sull’orgoglio (“dobbiamo cambiare passo”). Altri lucidano concetti noti, ma la sensazione è che si sia persa l’occasione di dare un colpo d’ala ad una forza comunque originale, ma che non riesce a trovare una propria identità, né un leader che li aiuti a farlo.
Tutti diffidano di tutti, tanto da scegliere una guida collegiale del movimento, un modo per distribuire più chiavi della stessa porta blindata, ed evitare così che uno solo si possa portar via il patrimonio di consenso, che seppur ridotto rimane consistente. Ma questo pericolo arriva da fuori. Dove si aggira Conte, un leader senza partito pericolosamente vicino a un partito senza leader. E che invita i grillini a cambiare idea, cioè a non aver paura dell’evoluzione. Ma per ora, il suo richiamo non viene raccolto. E gli Stati Generali si chiudono sommessamente senza quella scossa che promettevano e con un Grillo pedagogicamente assente. E ora? Fallita la via dialettica del cambiamento che preme, si profila quella traumatica. Che non tarderà a venire.
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