“Imprenditore italiano sbarcato a Lampedusa con un barchino di migranti”. “Stile Tolo Tolo. “Come Checco Zalone” si legge su titoli o negli articoli dei quotidiani. Sottolineando il caso curioso, il personaggio singolare, il lato quasi divertente di una storia che andrebbe invece approfondita: chi infatti ha un po’ di fiuto capisce subito la vicenda è molto più intricata e complicata di quanto possa sembrare ad una prima superficiale lettura.
La notizia che si fa strada sui giornali una settimana dopo lo sbarco di questo signore, viene comunicata alla sottoscritta il giorno stesso in cui si palesa insieme ad una dozzina di tunisini su una delle tante imbarcazioni arrivate il 20 settembre scorso: con stupore dei civili e militari presenti sul molo per i primi controlli di polizia e sanitari.
“Non ci crederà – rivela la fonte – ma qui è sbarcato un italiano con un barchino di tunisini”.
Cappellino, jeans e maglietta, si confonde con chi arriva dal paese nordafricano e anche se parla perfetto italiano, riesce a staccarsi dal gruppo solo quando tira fuori il passaporto. Sostiene che il viaggio su quel barchino era la sua unica chance per tornare a casa. Perché in Tunisia aveva problemi economici e perché – dice – non avrebbero fatto partire per le norme anti Covid. .
Motivazioni poco credibili: per il Covid basta fare il test prima di partire e niente impedisce ad un nostro connazionale di prendere un aereo o un traghetto per raggiungere legalmente il proprio paese. A meno che, il soggetto non abbia problemi di visto o altri problemi nel paese da cui sta fuggendo e dove non vuole farsi rintracciare facendo il test o presentando quel passaporto in aeroporto. D’altro canto in Italia – dicono fonti investigative riservate sul posto – non ci sono motivi per trattenerlo. Perciò, con risultato negativo al tampone, lo lasciano andare (spero almeno dopo avergli chiesto come mai quella surreale scelta, a chi si è affidato prima di partire e quanto ha pagato il posto su quella barca) .
Fatto sta, che Roberto Rivellino , 40 anni di Santa Maria del Molise in provincia di Isernia, sceso da quel barchino di disperati, li saluta mentre se ne vanno in hotspot per la quarantena preventiva. Lascia Lampedusa e in quattro e quattr’otto se ne torna al paesello a casa della mamma. Dove, non appena esce la notizia, è costretto a mettersi in quarantena preventiva come tutti gli altri.
Nessuna informativa su questo fatto arriva sul tavolo della procura competente di Agrigento finché, una settimana dopo facciamo uscire la notizia sui social, seguiti a scia scia da tv e carta stampata. Qui però il quarantenne emigrato in Tunisia, viene descritto quasi come un’ icona dell’italiano furbacchione che ha fatto qualche pasticcio all’estero e se ne torna lemme lemme attraversando il Mediterraneo: migrante tra i migranti. Storia da film quasi comico se dietro non ci fosse altro di molto meno divertente dietro.
Le notizie raccolte da fonti tunisine raccontano di un nostro connazionale arrivato nel paese dei Gelsomini nel 2003 (8 anni prima della rivoluzione del 2011) come tecnico di lavaggio e trattamento di jeans in un ‘impresa italiana.
Poi lui stesso apre una lavanderia industriale che però fallisce: intanto lui sparisce lasciando grossi debiti e non solo. In Tunisia era ricercato da circa tre anni: introvabile fino a quando non ha deciso di fare la traversata. Chi mi scrive queste informazioni, ci tiene a dire che ” gli italiani in Tunisia non sono tutti così: molti sono onesti lavoratori” che – come gran parte dei tunisini – stanno soffrendo della tremenda crisi economica ma che non lascerebbero mai il paese in quel modo se non avessero “combinato guai”.
E allora, invece che romanzare questa storia come fosse un film di Totò e Peppino, invece di considerare il migrante molisano un eroe-macchietta all’italiana, forse sarebbe meglio approfondire facendosi anche semplici domande.
Perché un nostro emigrato in Tunisia, seppur in difficoltà economiche, si mette sulla stessa barca con tunisini in fuga per tornare al paese suo? A chi si è rivolto per arrivare a Lampedusa da legale tra gli “illegali”? C’è qualcuno che lo protegge? E, nel caso, perché?
Ma forse a noi piace pensare al nostro connazionale più come una “simpatica canaglia”: perché “noi italiani” , si sa , siamo così. Mentre “gli altri” , quelli che arrivano con i barconi “a casa nostra” vengono solo a romperci le scatole. Qualsiasi cosa nasconda il quarantenne molisano, questa storia una cosa ce la insegna: anche “noi italiani” siamo cittadini del mondo. Anche noi quando emigriamo, se le cose vanno male, possiamo finire per commettere errori.