Niente, è andata male anche questa volta. Il ricorso della difesa di Patrick Zaki contro la decisione del 7 ottobre di prolungare di altri 45 giorni la detenzione preventiva dello studente egiziano dell’Università di Bologna è stato respinto. Ora andrà capito, e non è cosa semplice neanche per i legali che si districano tra procedure giudiziarie arbitrarie e opache, se i 45 giorni partiranno da oggi o resteranno quelli disposti il 7 ottobre.
Quello che attende Patrick, purtroppo, è un altro periodo di carcere nella struttura penitenziaria di Tora, dove la pandemia da Covid-19 è entrata da mesi.
In questa situazione disperata, un segnale incoraggiante è la crescente preoccupazione internazionale per Patrick e per tutti gli altri prigionieri di coscienza egiziani. Quasi 300 parlamentari (una sessantina statunitensi, gli altri membri del parlamento europeo o di parlamenti nazionali di stati europei) hanno inviato lettere pubbliche al presidente Abdelfattah al-Sisi chiedendo l’immediata scarcerazione di tutti coloro che sono detenuti solo per aver esercitato i loro diritti umani. Tra questi c’è anche Patrick.
Al governo italiano, anche in questa occasione, va rinnovato l’appello ad agire con sollecitudine e fermezza. Attendere l’udienza successiva sperando che vada bene e magari inviando ad assistervi un rappresentante dell’ambasciata al Cairo, è un atteggiamento improduttivo. Occorrerebbe ben altro: richiamare temporaneamente l’ambasciatore per consultazioni e per un nuovo mandato chiaro e forte sarebbe tra le prime cose da fare, insieme al ripensamento sulla decisione, presa ma non ancora attuata, di fornire due fregate militari alla Marina egiziana.
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