Milano, Teatro Franco Parenti – Dopo una prima presentazione alla Biennale Teatro di Venezia, la nuova creazione del Teatro dei Gordi debutta al Franco Parenti, dove Andrée Ruth Shammah li accoglie con grande entusiasmo: i Gordi portano la vita sul palcoscenico, ci tiene a sottolineare.
È vero, i giovani e scalpitanti Gordi sono quasi degli attori-etnografi in questo allestimento che esplora, denudando (simbolicamente e letteralmente) un’umanità variopinta, grottesca e bizzarra ma in fondo così normale e facilmente riconoscibile. Siamo noi, è la nostra società di oggi, tra paranoie ed esibizionismi, follie più o meno standardizzate, paranoie codificate. Quello dei Gordi è un teatro fatto di corpi, di gesti, di partiture fisiche eseguite con grande bravura (in questo spettacolo persino maestria acrobatica, a tratti) e di maschere; un teatro che fa a meno della parola o nel quale la parola si fa da parte per lasciare campo aperto a una dirompente espressività pantomimica.
Non c’è narrazione in questo spettacolo costituito da una serie di quadri, di mini-scene, di frammenti di umanità che si susseguono ininterrottamente in un anonimo bagno pubblico. Di grande ironia l’insegna che recita in inglese: leave me as you found me – come se il passaggio dei corpi che lo frequentano potesse avvenire senza traccia, in maniera perfettamente asettica. Si tratta, naturalmente, dell’ossessione che ci anima di più in questo periodo pandemico: evitare il contagio – con il suo illusionistico e illusorio corollario del distanziamento sociale (inutile ormai soffermarsi sull’ossimoro) e dell’igienizzazione. Come se all’improvviso i nostri corpi fossero diventati ricettacoli di virus e malattie che non vedono l’ora di sbocciare e di attaccarsi agli altri. Certo, se ci si lava le mani spasmodicamente e le si sfrega compulsivamente con il gel sanificante, sarà possibile crogiolarsi nell’illusione di una scampata infezione e allora sì che ‘andrà tutto bene’, tutto sarà come prima: leave me as you found me, appunto. Senonché entrare in contatto con gli altri è di per sé inevitabile contagio, contaminazione, in una parola: relazione. E il corpo che siamo è proprio questo vascello meraviglioso e nello stesso tempo fetido, produttore di scarti, nido di malattie e di sublime. Il corpo è per noi, nobili possessori di anima, un inaudito scandalo. Come far collimare l’arte e le viscere, l’amore e i bacilli? Eppure così è stato e così sarà sempre, perché il corpo, con la sua ferina presenza è ciò che ci rende umani, angeli appartenenti al regno animale, mammiferi poetici.
E davvero è il corpo il vero protagonista dell’esilarante carrellata di personaggi che sgusciano dalle porte delle cabine, fanno uso e abuso degli orinatoi, dei lavandini, della carta igienica: uomini d’affari, trampolieri, ciclisti, coppie gay, ballerini, maniache dello shopping, cantanti ambulanti con tanto di amplificatore e microfono, Pussy Riot, donne che sentono voci, quelle che urlano per automotivarsi, altre e altri che urlano per disperazione, fino a sfiorare la poetica dell’assurdo (una improbabile maschera ricavata da una giacca denim diventa la testa di un elefante) e la parodia della famosa scena horror della ragazza fantasma che esce dalla tv nel film The Ring. Notevole l’abilità dei sei attori di cambiare tanto rapidamente costumi e personaggi, destrezza della quale avevano già dato prova nel precedente lavoro, Sulla morte senza esagerare (da noi recensito: http://www.inscenaonlineteam.net/2020/08/01/una-morte-imbranata-sul-palcoscenico-del-franco-parenti-di-milano/).
Pandora, dunque. Pandora potrebbe essere il bagno, il cestino dei rifiuti (il più importante oggetto scenico dell’allestimento) che rimanda al famoso vaso, ma potremmo essere semplicemente noi, il nostro corpo: recipiente pieno di organi, fluidi e rifiuti, sul fondo del quale si annida la speranza. Non ce ne dovremmo vergognare perché nella sua oscena invadenza c’è un mistero ancora tutto da scoprire. Il corpo (e soprattutto i suoi fluidi) sono tradizionalmente tabù, contaminazione. Gioire del corpo è allora colpa, vergogna da celare lavandone via le tracce, come avviene in una delle scene. Il corpo va addomesticato con i riti e le regole sociali. I suoi fluidi e le sue emanazioni vanno accuratamente convogliati in mascherine, fazzoletti, guanti che dovrebbero segnare poliziescamente il confine invalicabile tra la nostra carne e quella dei nostri simili.
Tutta questa fantomatica separazione viene meno in un luogo di transito come il bagno pubblico e i Gordi ce lo fanno vedere in tutta la sua grottesca impossibilità: il maniaco dell’igiene dentale che espleta il suo rituale in un lavandino che un attimo prima era servito da bidet. Sognare un mondo asettico dove i corpi non si sfiorano più potrebbe essere benissimo anche l’inizio di un incubo, di un delirio collettivo animato da buoni propositi (e la storia mondiale è puntellata di tanti deliri nati da buoni propositi), lo scoperchiamento di un vaso di Pandora che sta portando alla luce turbe mentali da non sottovalutare.
I Gordi, compagnia milanese formata da ex allievi della Civica Paolo Grassi, stimolano queste riflessioni con i loro lavori dissacranti e apparentemente leggeri, dove non c’è traccia di trasfigurazione e di catarsi, ma i temi affrontati sono davvero abissali: la morte, il tempo, il corpo. Lo spettacolo è costruito con cura artigianale dal giovane regista Riccardo Pippa, che completa un disegno drammaturgico articolato ormai in una compiuta trilogia ‘della soglia’, aggiungendosi ai precedenti Sulla morte senza esagerare e Visite. Pandora fa parte della rassegna Campo aperto del Franco Parenti, che raccoglie compagnie e artisti del panorama teatrale contemporaneo.
PANDORA
ideazione e regia Riccardo Pippa
di e con Claudia Caldarano, Cecilia Campani, Giovanni Longhin, Andrea Panigatti, Sandro Pivotti, Matteo Vitanza
dramaturg Giulia Tollis
maschere e costumi Ilaria Ariemme
scene Anna Maddalena Cingi
disegno luci Paolo Casati
cura del suono Luca De Marinis
vocal coach Susanna Colorni
responsabile tecnico Alice Colla
scene costruite presso il laboratorio scenotecnico del Teatro Franco Parenti
costumi realizzati presso la sartoria del Teatro Franco Parenti diretta da Simona Dondoni
produzione Teatro Franco Parenti/ Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale/ Fondazione Campania dei Festival in collaborazione con Teatro dei Gordi