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Neo-pendolarismo. Dopo la pandemia ripensare all’uso delle città

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Negli anni ’80, in un congresso di ingegneri, il progettista delle “Torri gemelle” relazionava anche sulla organizzazione dell’uso degli ascensori nelle nuove strutture. Solo con una rigida turnazione si potevano servire gli utenti, altrimenti la metà della superficie sarebbe dovuta destinarsi agli “elevators”. Anche per l’ascensore bisogna programmare al meglio l’uso, ciò già per il mezzo di collegamento a miglior resa (ad es. per superare 300 metri di dislivello servirebbero circa 6.000 metri di strada!) Il risparmio di superfici, purtroppo, allora coinvolse anche le scale antincendio…

Nel recente dibattito sulle soluzioni per evitare i sovraffollamenti nei mezzi pubblici, si può proporre una miglior articolazione degli orari, soprattutto di apertura. Si potrebbe, ad esempio, ipotizzare questa soluzione di ingressi: 7,30 studenti liceo; 8,00 50% dipendenti; 8,30 scuole elementari; 9,00 50% dipendenti; 9,30 scuole medie. Il tutto in aggiunta all’aumento del tele-lavoro (esiste il termine in italiano!), pertanto senza  aumento di mezzi e conducenti.

Ma oggi si dovrebbe fare tesoro di tutte le problematiche del pendolarismo, che sono emerse con la pandemia. Il modello di città scollegata, tra residenza e lavoro, è assolutamente da rivedere. Anche nella piccola Catania si contano 60.000 mezzi privati che giornalmente lasciano l’interland ed affollano il centro. In tutto il mondo la speculazione immobiliare ha svuotato le città dei loro abitanti, favorendo l’innalzarsi dei prezzi degli immobili, destinati al terziario; valori inspiegabili, come il recente acquisto di un immobile a Londra da parte di un porporato, finanziere d’assalto.

Bisogna far tornare nei centri abitati due cose: il verde e gli abitanti. Per il primo, attivando la teoria dei “Bracci di bosco”; per i secondi, favorendo la realizzazione di alloggi per giovani e anziani, cittadini che trovano nella dimensione urbana la possibilità di socializzare e vivere meglio.


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