Riprende oggi davanti al Tribunale di Roma il processo che vede come parti offese di minacce Rosaria Capacchione e Roberto Saviano, quest’ultimo sarà presente, salvo impedimenti dell’ultimo minuto, per prestare l’esame testimoniale. La storia che precede l’udienza di domani è molto lunga e ancor più amara: prende il via a marzo del 2008, nel corso delle arringhe della difesa al processo Spartacus, davanti alla Corte d’Assise d’Appello di Napoli. Fu in quel preciso momento che arrivarono le minacce del clan dei casalesi ai due giornalisti, come ricostruito nel capo di imputazione che è alla base del procedimento attuale e dove la Federazione Nazionale della Stampa Italiana si è costituita parte civile per il tramite dell’avvocato Giulio Vasaturo.
Per tornare alla genesi di tutto: durante le battute finali di Spartacus l’avvocato Michele Santonastaso, per lunghissimo tempo difensore di Francesco Bidognetti e di Antonio Iovine, lesse un’istanza di legittimo sospetto, firmata proprio da Bidognetti e Iovine, che era una minaccia palese a tutti coloro che avevano sostenuto l’accusa del processo Spartacus nonché contro i giornalisti che lo avevano raccontato, dunque la Capacchione e Saviano, i quali sono stati poi parti offese nel procedimento che si è concluso in primo grado nel 2014 e che è appunto raccontato nella lunga sentenza che ricostruisce i fatti. La stessa che ha condannato per minacce aggravate dal metodo mafioso il capo dei casalesi Francesco Bidognetti, l’avvocato Michele Santonastaso e il collega Carmine D’Aniello e che era stata impugnata in secondo grado. In quest’ultima sede però i giudici della Corte d’Appello avevano ritenuto che la sentenza andasse annullata per incompetenza territoriale rinviando gli atti alla Dda di Napoli, la quale a sua volta a dicembre 2017 ha trasmesso il fascicolo a Roma dove, appunto, si celebra il processo attuale, il cui verdetto è uno dei più attesi ai fini della valutazione di quanto può fare la giustizia contro la spregiudicatezza di un clan tutt’altro che vinto.