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Mario Masini e i suoi film per… Bene. Una preziosa testimonianza a cura di Carlo Alberto Peruzzi per la Damocle Edizioni

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“Mi sono liberato di tutti gli insegnamenti del Centro Sperimentale. Carmelo era molto libero. Per me il lavoro sulla fotografia è capire la psiche e l’immaginazione del regista”. Così, nel 2016, in una intervista Mario Masini, straordinario direttore della fotografia, si era espresso a proposito di Nostra Signora dei Turchi di Carmelo Bene. Masini ricorda quella stagione irripetibile ne I miei film con Carmelo Bene, edito per i raffinati tipi della veneziana Damocle Edizioni che comprende oltre ad una appendice fotografica, anche una versione in inglese e francese “nella speranza – sottolinea il curatore Carlo Alberto Petruzzi – che questa scelta possa favorire lo studio dell’opera di Carmelo Bene anche in ambito internazionale”.

L’esperienza di Masini con Bene – il cui rapporto col cinema codificato è a dir poco tempestoso – appartiene ad un breve ma assai intenso momento: dal 1968 al 1973, ovvero l’arco di tempo in cui cura la fotografia di ben quattro pellicole tutte a firma di Bene (Nostra Signora dei Turchi; Il barocco leccese, Don Giovanni, Salomè e Un Amleto di meno). Masini, tra i maggiori rappresentanti del cinema sperimentale, comincia a lavorare con Carmelo Bene quasi per caso, dopo una chiacchierata al bar. Ma è una intesa immediata e proficua. “Facevamo delle cose pericolosissime ma sempre con molta attenzione e per me che venivo dal cinema sperimentale tutto questo era molto stimolante”. Lavorano senza sceneggiatura, con risorse economiche scarsissime, lasciandosi guidare dall’intuito e dall’immaginazione.

La genialità di Carmelo Bene spesso risolve le situazioni più incredibili riuscendo pure a coinvolgere chiunque nella lavorazione dei suoi film: professionisti, passanti, curiosi. Emerge dalle parole di Masini – che con grande discrezione spesso mette in ombra se stesso – l’ammirazione per un artista come Bene sempre “in lotta conto il cinema per dominare la sua attitudine naturalistica nel tentativo di trasformarla in un’elaborazione artistica”. Sottolinea inoltre l’affetto e rispetto di Carmelo nei confronti di chi lavorava con lui. Masini è consapevole di questa esperienza irripetibile all’interno di una idea di cinema sovversiva e alternativa: “Tutto il cinema di Carmelo – afferma – è frantumazione e annientamento di una immagine della realtà che ogni volta continua però a risorgere”. Ma a prescindere dagli aneddoti – alcuni esilaranti – dagli episodi rocamboleschi, dalle stesse condizioni in cui la “troupe” si trovò quasi sempre a girare, le riflessioni più significative di Masini riguardano l’idea stessa di cinema secondo Carmelo Bene. “Facendo cinema Carmelo si è reso conto dei limiti di questa arte.

Nel cinema già nelle riprese è tutto finto e le scene vengono ripetute […] nel montaggio le cose diventano ancora più artificiali”. Bene insomma, secondo Masini, si rende conto della spaventosa solitudine dell’attore di cinema, dove “c’è soltanto la macchina da presa e non ci sono reazioni emotive. […] In teatro, l’attore non si ferma mai e continua la performance dall’inizio alla fine.” Non è necessario ricordare quanto efficaci siano le argomentazioni di Masini (Baruchello e Grifi le avevano già esplicitate nel 1964 ne “La verifica incerta”) e come il concetto fondamentale sotteso sia quello della libertà: se nel teatro lì dove lo sguardo è libero di spaziare, è infinita, nel cinema lo spettatore è costretto “a subire il punto di vista del regista”. Ecco perché probabilmente le sequenze iniziali di Nostra Signora denunciano un dualismo di fondo: “il contrasto tra il mondo borghese istituzionalizzato e l’artista che vive solo della sua libertà. Carmelo uccide se stesso e realizza un film già nel titolo privo di senso”. I film sono un vero e proprio tour de force nel quale Bene e Masini, spesso soli, risolvono problemi pratici e tecnici appellandosi alla loro fantasia: mancava il carrello? Utilizzavano una carrozzina.

Bisognava fare riprese in movimento? Masini si sistema nel bagagliaio di una macchina. Sono necessarie comparse che il budget non può permettersi? Irrompono nel bel mezzo della festa patronale del paese (e dopo il parapiglia la polizia arresta Carmelo). Una scena prevede le lucciole? Fanno scorrere una pila accesa dietro fogli di carta nera. Una stanza diventa addirittura un castello medievale. In questo modo, ad un cinema italiano quasi sempre “provinciale e casereccio”, e in generale, “consolatorio”, Carmelo Bene oppone il suo: un varco per “entrare in un altro mondo” .

Mario Masini, I miei film con Camelo Bene, (a cura di Carlo Alberto Petruzzi), Damocle Edizioni, 2020, euro 15,00


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