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Le stagioni del nostro amore digitale

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Il recente Digital Italy Summit, tenutosi negli scorsi 19-20-21 ottobre, è stato uno degli ultimi appuntamenti su di una materia diventata tanto essenziale quanto spesso affrontata con qualche eccesso estetizzante. Non è il caso forse del convegno citato, piuttosto denso e interessante, organizzato da  The Innovation Group presieduto da Roberto Masiero. Tuttavia, la tendenza è quella e, probabilmente, ha un’origine psicologica e persino semantica. A parlare dell’argomento, pur in maniera colta ed avveduta, è di sovente chi è cresciuto in età analogica. E, per dirla con Agatha Christie, l’assassino lascia tracce di cui non è consapevole. Appunto. Insomma, fino a che ricerche e dati non saranno gestiti e presentati dai nativi digitali, un retrogusto posticcio e recitativo rimarrà.

Quando, ad esempio, si forniscono le cifre quantitative, si fotografa il divario permanente tra il nord e il sud del territorio tecnologico. E, comunque, siamo nella migliore delle casistiche solo al diciassettesimo posto in Europa. Ma, se si inquadra la qualità dei saperi del consumo, arriviamo ultimi. Ora che la nuova fase della pandemia costringe ancor più ad utilizzare le connessioni di rete, emerge drammaticamente il deficit nelle culture digitali. L’Italia è ancora un paese arretrato. E per fare un salto doppio, come sarebbe necessario, vanno promossi nei luoghi di comando coloro che hanno dentro di sé l’alfabeto per capire la logica delle macchine ed affrontare il potere degli algoritmi con le modalità adeguate.

Se è vero che il 20% dei fondi europei Next Generation andranno nel fiume numerico, è bene che a occuparsene sia chi è in grado di sistemare gli addendi. Se no, gran parte delle risorse rimarrà nei cassetti di Bruxelles o sarà sperperata dal solito approccio anarco-liberista del settore.

Realizzare la rete unica è da porre in cima all’agenda, come garantire la massima copertura degli edifici scolastici o la connessione dei luoghi dello spettacolo. Una parziale opportunità per intervenire nella tragedia creatasi con la chiusura dei luoghi dello spettacolo dal vivo è di costruire una grande piattaforma pubblica, regolandone la fruizione a pagamento. Tra le linee guida indicate dal governo, si introduca anche quest’ultima.

Nel citato convegno, ricco di contributi e interventi, risuonava costantemente a mo’ di slogan il ricorso a riforme profonde e coraggiose. Ci si riferiva certamente al grumo della pubblica amministrazione, uno degli aspetti cruciali del problema a causa della scarsità del turn over e del persistente predominio del potere cartaceo, ma si sorvolava sull’egemonia ferrea degli Over The Top, con i loro algoritmi proprietari. Fino a che non si mette il naso là dentro, riaprendo le questioni del possesso esclusivo dei dati e delle pratiche anticoncorrenziali (negli Stati uniti il bubbone è scoppiato) il sogno digitale tale rimane.

Le ministre dell’innovazione Paola Pisano e la collega della pubblica amministrazione Fabiana Dadone hanno mostrato buone intenzioni. Tuttavia, è amaro sentire che la cosiddetta killer application (come gli esperti chiamano il punto di svolta) è il virus. Il quale costringe a non perdere altro tempo. Accidenti, ci volevano morti e malati per aprirci gli occhi?

Ecco perché va portata alla luce una verità finora tenuta sotto le ceneri. Per parafrasare Nanni Moretti, con questi dirigenti non andremo da nessuna parte.

Purtroppo, nel convegno evocato si è sentita pure una brutta stecca. Della sottosegretaria del ministero dello sviluppo Mirella Liuzzi, del Mov5Stelle, lieta di sottolineare la sospensione delle ordinanze di diverse municipalità sui limiti dell’inquinamento elettromagnetico. Non è stata l’unica voce a toccare il nodo delicatissimo degli effetti temuti sulla salute della generazione 5G. Nessun luddismo, ma cautela sì. Che parabola, dal Grillo che spaccava in teatro un computer, all’esaltazione delle tecniche: purché siano.

Ieri, alla camera dei deputati, è stata discussa ed approvata una mozione tesa a dare criteri (condivisibili) al governo proprio sul Recovery in salsa digitale. Primo firmatario il parlamentare Niccolò Invidia. Nomen omen?


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