L’istruzione esige la presenza. Perché l’insegnante non è un fornitore di nozioni, ma un poli-educatore. Nel senso che lavora sul piano verticale dell’innalzamento del sapere, ma anche su quello orizzontale dell’affinamento della responsabilità sociale degli studenti, orientandoli alla sperimentazione dell’autocontrollo cooperativo, l’embrione delle relazioni consapevoli dell’adulto. Nelle aule succedono ogni giorno piccoli miracoli di evoluzione personale e collettiva, di cui sono artefici gli insegnanti, persone che svolgono il lavoro più strategico di una comunità.
Tutto questo complesso laboratorio di azioni e reazioni di apprendimento può svolgersi in remoto? No, la didattica a distanza è un palliativo, perché la compresenza è requisito essenziale – direi chimico – per generare la combustione tra emozioni e nozioni. Ecco perché non si possono chiudere la scuole con la leggerezza di pensare che tanto tutto funziona lo stesso on line. Chi blocca il flusso del sapere, mette in apnea intere generazioni. Se la fase è breve, si riprendono; se la mancanza di ossigeno è troppo lunga, i danni che avranno – che avremo – saranno permanenti.
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