Sarà una frase quasi banale, eppure una frase così potente da indicare l’urgenza di abbattere un altro muro. Abbattere i muri che segregano uomini, culture, affetti: sembra questa la grande forza di Francesco al tempo dei muri.
Molti dicono di voler aspettare la proiezione del documentario di Evgeny Afineevsky per essere scuri che davvero Francesco vi affermi “Le persone omosessuali – dice – hanno il diritto di essere in una famiglia. Sono figli di Dio e hanno diritto a una famiglia. Nessuno dovrebbe essere estromesso o reso infelice per questo. Ciò che dobbiamo creare è una legge sulle unioni civili. In questo modo sono coperti legalmente. Mi sono battuto per questo”. Ovviamente hanno ragione, bisognerebbe sempre fare così. Ma in questo caso, per chiunque abbia seguito questo pontificato, è importante capire lo stupore. Lo stesso cardinale Bassetti, da presidente della Conferenza Episcopale Italiana, si è espresso in favore delle unioni civili per gli omosessuali. Il punto di novità, allora, sta nell’uso della parola famiglia: può essere, personalmente non penso. Nella frase divulgata dalla stampa infatti Francesco sembra voler indicare quel tepore domestico che si riscontra nell’idea o dimensione di “famiglia”. Molti al riguardo potranno speculare, ma io credo che il senso che intende dare a “famiglia” non è legato a discussioni legali, ma al criterio umano dell’unione per vivere insieme, affettuosamente. E’ comunque una sottolineatura importante, che nel senso qui proposto non va a scavare nella dimensione giuridica, ma in quella umana. Chi altro, oltre agli omesessuali che vorrebbero civilmente convivere, è imputato d’amore? Cosa c’è che non va nell’idea che due persone vogliano potersi amare in modo e forma “civile”? Siccome nulla nella frase attribuita al papa indica un’ipotesi di “matrimonio omosessuale”, è chiaro che il matrimonio rimane solo quello tra un uomo e una donna. E allora, non essendo questo, come è ovvio, ad essere posto in discussione, di cosa ci sarebbe da discutere, stupiti? Lo stupore sta nel fatto che parlandone lui, il vescovo di Roma, si avverte in queste parole un valore globale. E nel mondo permane la discriminazione più feroce, e da noi il pregiudizio. Dunque Francesco si pone davanti ad un muro, quello che in forme diverse si erge nei confronti degli omosessuali. A volte sono arrestati perché tali, perseguitati, altrove sono accettati, ma guardati con fastidio, in certo senso si può dire “disprezzo”. In questo tempo di muri, di divisioni, di separazioni, il papa della fratellanza smaschera l’ultima trincea dell’oscurantismo, che affonda il suo pregiudizio nella distorsione della Bibbia, dove l’ira di Dio, guarda caso, riguardava la negazione dell’ospitalità da parte di chi viveva a Sodoma, non gli atti sessuali.
Il papa della fratellanza ci fa capire che il fratello vittima di pregiudizio non è solo di un colore diverso, ma anche di un “orientamento” diverso. Per quell’orientamento viene addirittura definito linguisticamente “diverso”. Ecco allora che questa frase “innocua” è un colpo alle culture dei muri e dei pregiudizi, e poi un invito a letture non limitative o ideologiche della fratellanza. La fratellanza è accettazione delle nostre diversità. Una volta, da papa, e parlando proprio di loro, gli omosessuali, Francesco disse, come molti ricorderanno: “chi sono io per giudicare?” Giudicare invece è lo sport più popolare al tempo dei muri e dei pregiudizi. Pregiudizi contro le donne, contro gli ebrei, contro gli africani, contro gli arabi, contro i migranti, contro tutti quelli contro i quali si avverte il bisogno di “essere contro”. Per rilanciare la cultura dell’essere “per” e non pregiudizialmente contro, giudicanti, la sola via è la fratellanza, cioè la constatazione che nella nostra diversità di sesso, razza, cultura, fede, siamo tutta della stessa carne. Pretendere di cancellare le nostre diversità non è un progetto, è un incubo. Un incubo che abbiamo con la globalizzazione piatta, che vuole cancellare culture e peculiarità, e con certi nazionalismi, che tentano di massificarci.
Fonte: Globalist