Il neo-sessantacinquenne Jorge Valdano da Las Parejas appartiene alla categoria dei “poeti del gioco”. Non perché riuscisse a creare spazi dove non avrebbero mai dovuto esserci, secondo la mirabile definizione riportata da Osvaldo Soriano in “Fútbol”: quello, nell’Argentina dell’epoca, semmai era Maradona. Valdano, tuttavia, era uno di quei giocatori dotati di un’intelligenza superiore, in campo e fuori. I suoi “Cuentos de fútbol”, il suo “sogno di Futbolandia”, la sua tenace e meravigliosa difesa del valore dei sogni e delle speranze, della purezza originaria del calcio e della bellezza di un’epifania ancestrale in cui ancora riusciamo, sia pur a fatica, a riconoscerci costituiscono un patrimonio umano e letterario da custodire con cura.
Protagonista del magno Real Madrid di Butrageño, Hugo Sánchez e Santillana, visse i ruggenti anni Ottanta in compagnia della “Quinta del Buitre”, la leva dell’avvoltoio (da “El Buitre”, uno dei soprannomi di Butrageño) cresciuta nel florido vivaio madridista, che illuminò tante notti europee con magnifiche rimonte che resero il Bernabéu una fortezza pressoché inespugnabile per ogni avversario, fino a indurre uno sprezzante ma ragionevole Juanito a suggerire agli interisti in festa per la vittoria a San Siro di stare attenti perché “noventa minutos en el Bernabéu son molto longos”. Sotto gli stessi colpi caddero anche l’Anderlecht e il Borussia Mönchengladbach e il Real si affermò in Coppa UEFA dopo aver dominato in lungo e in largo la Coppa dei Campioni. Nel frattempo, si affermò Maradona e così Valdano poté togliersi la soddisfazione di concquistare anche la Coppa del Mondo a Città del Messico con l’albiceleste, avendo la meglio sulla Germania Ovest delle tre finali consecutive fra l’82 e il ’90.
Appesi gli scarpini al chiodo, il nostro non si è perso d’animo, affiancando la propria passione per il calcio al proprio talento di narratore e affermandosi come giornalista e scrittore nonché come eccellente direttore sportivo delle “merengues”, al punto che se molti di noi si sono appassionati alla Casa Blanca negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza è stato anche grazie ai suoi racconti, alle sue definizioni fulminanti e alla sua battaglia di uomo di sinistra contro le frange più estreme e falangiste della curva del Real, ahinoi in parte ancora nostalgica del franchismo.
Jorge Valdano, per dirla alla sua maniera, è un sognatore universale che ha raggiunto l’età matura senza mai smettere di essere bambino, coniugando grandezza e gioia di vivere, esperienza ed entusiasmo, genio e senso della misura, arte e razionalità. Se avesse fatto il pittore, sarebbe stato probabilmente un cubista, tanto era assurda, scomposta eppure incredibilmente metodica la sua saggezza nel dipingere sui campi di calcio. Come scrittore, è un misto di irriverenza e realismo magico, ritratti graffianti e affreschi destinati alle parti nobili della libreria. Come calciatore, basta dire che è stato Jorge Valdano: la carriera e la bacheca parlano per lui. E ci raccontano la storia di uno degli ultimi romantici, mai rassegnatosi al baratro di un tempo e di un mondo che non gli appartengono ma che, nonostante tutto, sa descrivere come nessun altro.
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