L’incipit di Genesis 2.0 è emotivamente forte. La cinepresa ci apre lo sguardo sull’acqua immobile, glabra e grigia. Sullo sfondo la banchisa e un cielo plumbeo accompagnano l’imbarcazione che si muove cauta tra i ghiacci polari. Fissiamo il viso di un indigeno che scruta con circospezione il mare: cerca un approdo sicuro. La sua preoccupazione è la nostra. Recitate da voce di donna nell’arcaica lingua le parole dell’antico poema orale – consegnato al mondo da P. V. Ogotoev – sono la degna colonna sonora di quegli orridi luoghi, mentre il cacciatore coi suoi compagni si appresta a sbarcare sull’isola. Il film documentario di Christian Frei e Maxim Arbugaev indaga su ciò che resta dell’uomo sia viaggiando nell’estremo Nord del pianeta, sia entrando nei più avanzati laboratori mondiali di genetica. Un filo rosso collega la ricerca dei due registi: l’uomo si vuole sostituire a Dio? Far risorgere il mammut sarà il segno di quel che sarà la nuova umanità. Nella brevissima estate artica un gruppo di uomini si appresta a cercare le zanne di mammut che il permafrost ha conservato per migliaia di anni nel sottosuolo della Sachá, repubblica russa (scarsamente) abitata da vecchi coloni russi e dal popolo indigeno degli jacuti. Sono questi ultimi che rischiano la vita per poche centinaia di euro di guadagno, anche se le zanne migliori valgono mille dollari al chilo. I cinesi, dato che l’avorio degli elefanti africani non è più facilmente disponibile, si riforniscono ormai in Siberia. Tonnellate di avorio di mammut transitano ogni anno per la frontiera per raggiungere il ricco mercato dell’estremo oriente. Il riscaldamento globale ha reso relativamente più facile la ricerca. Si sciolgono non solo i ghiacci, ma anche il permafrost, il duro terreno artico che grazie alla mancanza di ossigeno e di luce ha permesso la conservazione per migliaia di anni di batteri e animali, non solo le loro ossa, anche la pelle, perfino sangue. Cos’è, infatti, quel liquido oscuro che fuoriesce dal corpo del mammut appena ritrovato? Presto, presto portate un’ampolla! Ecco come era iniziata la caccia, che dagli scienziati si è poi estesa ai cercatori di reperti preistorici. E se gli indigeni sperano (invano) di arricchirsi, gli studiosi sperano di riportare in vita quegli antichi animali. E’ possibile? Più probabile che il corredo genetico degli antichi mammut venga incrociato con quello dell’elefante indiano per creare un animale ibrido come già stanno facendo in varie parti del mondo. D’altra parte la scienza è già in grado dare vita a nuove specie animali come il “geep”, incrocio tra capra e pecora. Le sperimentazioni per la clonazione del DNA sono all’avanguardia in Cina (la BGI Genomics) e in Corea (la Sooam Biotech) e lì, nei luoghi dove l’uomo diventa Creatore, si recano i ricercatori russi. Genesis 2.0 è un documentario che vi lascerà sgomenti, per le temibili prospettive che apre nella ricerca genetica. Ascoltate e guardate a che punto è la ricerca nei laboratori dell’ iGEM di Boston, o all’Harvard Medical School, diretta dal genetista George Church.
La regia di Christian Frei e Maxim Arbugaev si muove su un doppio binario: quello dell’ inchiesta scientifica e quello socio-antropologico. Da una parte la scienza insegue l’immortalità, sfidando le leggi della natura; dall’altra uomini che sperano di dare una svolta alla loro grama vita: “Vorrei trovare una zanna molto grande, per venderla, e cambiare mestiere.” Ecco, allora, Spira Lepstov che si danna per ripagare i propri debiti e dare un avvenire diverso alla famiglia. Perché non risponde sua moglie alla rara e costosa telefonata satellitare? E’ il presagio di un destino infausto. Oppure seguiamo gli altri due protagonisti, il cacciatore Peter e suo fratello Semyon, direttore del Mammut Museum di Yakuts, aperto allo scopo di incentivare la ricerca di mammut ben conservati così da poterli clonare. Ancora cento anni fa l’umanità non conosceva l’esistenza dei pachidermi preistorici, tanto che alla scoperta delle loro prime ossa esse venivano scambiate per quelle di giganti vissuti in tempi immemori. Che paradosso. Qualsiasi cosa pensiate dell’opera dei due autori – qui coadiuvati da uno staff fuori dal comune di “attori”, di tecnici di ripresa e scienziati e con una colonna sonora mozzafiato (Max Richter) – il documentario, sia per lo straordinario impatto visivo delle riprese artiche, sia per le testimonianze sulla più avanzata ricerca genetica, non vi lascerà immuni. Forse non sempre il montaggio alternato tra i due aspetti del film – Arbugaev per la cura delle riprese artiche e Frei per quella più scientifica – risulta armonioso, pur tuttavia noi crediamo che Genesis 2.0 sia un film indimenticabile, assolutamente da vedere.