Cala il sipario sulla Festa del cinema di Roma, questa volta senza continuazione nelle sale, almeno per un periodo, a causa del Covid 19. Ci sono stati momenti drammatici, nei quali si diceva che la festa sarebbe finita anzitempo, ma così non è stato. Grazie alla capacità degli organizzatori, al pubblico che ha risposto bene, agli addetti ai lavori che hanno rispettato le regole, la kermesse è arrivata alla fine con successo, malgrado tutto.
Il pubblico ha decreto vincitore “Eté 85” di François Ozon, storia d’amore omosessuale tra adolescenti che, se il festival si fosse svolto, sarebbe stata in corsa per la Palma d’oro a Cannes. “Sono estremamente felice che Été 85 di Francois Ozon abbia vinto il premio del pubblico BNL – ha dichiarato il direttore artistico Antonio Monda – questo riconoscimento a un regista del suo calibro, presentato in selezione ufficiale insieme a maestri riconosciuti del cinema mondiale testimonia ulteriormente il prestigio conquistato dalla Festa in questi ultimi anni”.
Ed è realmente una felice formula quella della kermesse romana che, anche nel 2020, ha offerto una selezione di titoli di livello molto alto: da “Soul”di Pete Docter che risponde a importanti quesiti esistenziali, agli episodi contro il razzismo di “Small Axe” di Steve McQueen, a “Home”di Franka Potente sull’imprescindibilità del perdono, a “Supernova” e “Etè 85” che parlano con rispetto e profondità dell’amore omosessuale. E ancora “Francesco”, il film documentario sul Papa, di Evgeny Afineevsky, presentato negli eventi speciali, dove il Pontefice ha detto: “Le persone omosessuali hanno il diritto di essere una famiglia. Le persone omosessuali sono figli di Dio e hanno diritto a una famiglia. Nessuno dovrebbe essere estromesso o reso infelice per questo”, oppure, “Una persona che pensa soltanto a fare muri e non fare ponti non è cristiano”. Il cinema parla alle coscienze, non a caso il russo Afeneevsky, ha suscitato un dibattito che ha raccolto 350 prime pagine suoi quotidiani mondiali.
Nella conferenza stampa di chiusura Laura Delli Colli, Presidente della fondazione Cinema per Roma, ha specificato: “Per me è stato molto importante essere stati non solo all’Auditorium, ma spalmati in altri luoghi della città, con ancora più attenzione al sociale. Siamo stati al Gemelli, a Rebibbia, nelle case rifugio, in librerie indipendenti facendo grande attenzione alla tracciabilità delle presenze». Ed è notevole, infatti, in una manifestazione che si vuole chiamare festa come segno dell’ accezione popolare, che vuole sia il pubblico e non gli addetti ai lavori a decidere il vincitore, la potenza stilistica e educativa delle opere presentate, l’attenzione al sociale, ai problemi dell’oggi, coniugati alla godibilità di questa particolare forma artistica.
Inimmaginabile alla festa di Roma vedere film astrusi o cervellotici, come accade in altri festival, eppure non è Brecht a definire la semplicità una cosa difficile a farsi? Per Erich From “educare alla creatività vuol dire educare alla vita”, un festival in fondo è una scuola che, con linguaggio chiaro, aiuti a guardare oltre il proprio cortile, a riflettere sui problemi umani. Nel momento in cui, a causa di una pandemia, la nostra esistenza ha una battuta d’arresto, appare più evidente quanto abbiamo bisogno degli strumenti che la cultura, nelle sue varie forme, ci offre.