Lo scorso venerdì 2 ottobre si è insediato il nuovo consiglio dell’autorità per le garanzie nelle comunicazioni, presieduto ora dallo stimato ex vicesegretario generale della camera dei deputati Giacomo Lasorella.
Non si può che fare i migliori auguri ad un organismo purtroppo sceso nella parte bassa della classifica, e che vorremmo tornasse in zona Champions, per abusare di un paragone calcistico. Purtroppo, infatti, l’istituzione immaginata dalla legge n.249 del 1997, per regolare in modo dinamico e creativo un sistema in fulminea mediamorfosi, non ha retto la sfida.
Doveva (e poteva) essere l’arbitro e il garante di una transizione democratica all’età digitale: giudice severo delle vecchie regole e avanguardia di approcci normativi adeguati ad un mondo – quello dei numeri e degli algoritmi- che non ha né spazio né tempo.
Non è andata così nella consiliatura uscente, di cui si ricorda come atto saliente solo il discutibile articolato sul copyright online, dove si coglieva il desiderio della forza, in un mondo dove i piccoli trasgressori (le vittime designate) – però- sono la pagliuzza magari non commendevole, mentre la trave degli Over The Top e delle Major prosegue indisturbata la sua conquista dell’infosfera.
Per non dire delle omissioni: dalla vigilanza sul rispetto della par condicio, alla definizione di confini e limiti dei diversi mercati, alla messa in causa degli assetti concentrativi. E già, perché la legge del 1997 disegnò un soggetto dai poteri vastissimi, che solo in piccola parte sono stati utilizzati.
Si volti pagina. L’orologio tecnologico corre velocissimo: i cento giorni canonici equivalgono a cento anni.
Insomma, le decisioni da prendere non aspettano.
Qualche esempio, con il massimo rispetto – ovviamente- per le preziose prerogative di autonomia e di indipendenza che furono pensate come il tratto distintivo dell’Agcom. Speriamo, anzi, che gli attuali componenti siano netti e trasparenti su eventuali conflitti di interesse, rispetto a società nazionali o locali che siano.
Forse una bella segnalazione a governo e parlamento sul necessario aggiornamento (nei riguardi dei social, e non solo) della legge n.28 del 2000 è urgente, ivi compresa la revisione dei modelli di calcolo delle presenze politiche in voce, in video e nei variegati supporti diffusivi. E’ il momento di ripristinare il criterio seguito in altre stagioni (purtroppo) dal centro di ascolto radicale: i minuti vanno inseriti nel contesto dell’ascolto e della fruizione. E l’analisi ha da essere anche qualitativa. Il telegiornale delle ore 20 è una cosa, un’intervista notturna è un’altra.
Sarebbe augurabile, poi, un’uscita dal guscio della sede di Roma e di Napoli (è ancora lì il cuore, come stabilito dalla legge?), per instaurare un dialogo aperto con le altre istituzioni, nonché per immaginare un dialogo maturo con i cittadini-consumatori o con gli stessi comitati regionali (Corecom).
Incombono questioni assai delicate, a partire dall’applicazione della sentenza della corte di giustizia del Lussemburgo sulla partecipazione azionaria di Vivendi in Mediaset, considerata legittima. E via via, ecco profilarsi la sciarada del recepimento in corso in parlamento delle direttive europee (2018/1808 sui media audiovisivi, 2018/1972 sul codice delle comunicazioni, 789 e 780/2019 sul diritto d’autore e sui diritti connessi). In tale sede, ad esempio, avrebbe senso chiedere l’inserimento di una delega all’esecutivo tesa a riscrivere il vecchio testo unico del 2005 varato in età berlusconiana e analogica.
Il passo cruciale, però, sta nell’entrata piena nella sintassi della aggiornata media literacy, in cui risaltano gli assurdi ritardi italiani. E’ in fase ascendente, non per caso, una proposta comunitaria sulle piattaforme – digital service act (Google e consimili)- al momento appena sfiorate da qualche obbligo, a cominciare dalla doverosa remunerazione del lavoro dell’informazione.
C’è da augurarsi, dunque, che l’autorità assuma le sembianze dell’intelligenza collettiva, in grado di contrastare la forsennata esplosione dell’astuto contendente: l’intelligenza artificiale.
Confidiamo, del resto, che Lasorella sia in grado di fermare il grande fratello. E non è una battuta.