Pochi e pochi giorni fa, in una provincia lontana lontana, quanto quella di Arezzo da Roma, la mamma di due bimbette si è recata alla AUSL per ritirare il referto del tampone molecolare cui si era sottoposta il giorno prima, previa prenotazione su Internet, ed eseguito in meno di cinque minuti tra entrare e uscire dal laboratorio. Purtroppo, l’esito era positivo come pure, ovviamente, quello delle sue due bimbette.
Mentre questa mamma guidava verso casa, frastornata dall’improvvisa svolta che avrebbe preso da quel momento in poi la sua vita, quella dei suoi colleghi di lavoro, dei collaboratori e dei loro parenti, nonché quella delle sue due figlie e di tutti i loro compagni di scuola e dei loro familiari, il trillo del suo smartphone ha annunciato l’arrivo di una e-mail. Era della Sindaca del suo centro residenziale che così le scriveva: “Buonasera Teresa (nome di fantasia), ho ricevuto oggi comunicazione dalla AUsl della Sua positività. Non volendo disturbare telefonicamente in questo particolare momento, scrivo questa e-mail per contattarla (l’indirizzo mi è stato fornito dalla AUsl). Spero che le sue condizioni di salute siano buone e che riesca a risolversi tutto in breve tempo. Resto a disposizione per qualsiasi necessità in cui possa essere di aiuto. Qui sotto ci sono i miei recapiti telefonici e non esiti a chiamarmi. Il Comune provvederà ad attivare il servizio di raccolta a domicilio della nettezza urbana e, pertanto, vi contatteranno dalla 6 Toscana per accordarsi con voi; verrete anche contattati dalla Polizia Municipale, che ha il compito di sorvegliare sul rispetto dell’isolamento domiciliare (provvedimento a cui è soggetta tutta la famiglia). In caso di necessità può essere attivato il servizio di consegna della spesa a domicilio contattando la Confraternita di Misericordia al numero 0575…., con la quale il Comune di ……… ha una convenzione per questo servizio. Un saluto affettuoso. IL SINDACO …. Seguono telefono fisso e cellulare.”.
In quelle stesse ore, nella capitale dove gli utenti dei monopattini elettrici, tramite i loro parcheggi a vanvera, sono assolutamente determinati a spiegare a quelli che portano i bambini in carrozzina che hanno scelto il posto sbagliato per viverci, una liceale ha comunicato alla preside che suo padre era stato ricoverato in terapia intensiva causa Covid-19. L’allerta ai compagni di classe induceva a ricorrere ai primi tamponi disponibili: quelli rapidi o quelli sierologici. Anche uno di questi referti “derivati” era positivo, sebbene a metà, per uno dei compagni di classe ed imponeva il tampone molecolare. Ingenuamente, il genitore di questo allievo si recava immediatamente al drive-in dell’Aeroporto Leonardo da Vinci, aperto H24, con l’intenzione di ridurre i tempi di verifica che comportavano anche, nelle more dell’ulteriore accertamento, l’adozione dell’insegnamento a distanza per tutta la classe. Giunto a Fiumicino, lo speranzoso padre apprendeva che ivi si praticano solo “tamponi rapidi”. “Cioè: veloci?” “No, del tipo: tanto per vedere se approfondire o meno l’indagine col tampone molecolare, l’unico accettato dalle compagnie aeree”. “Ma se il vostro tampone non è utile per volare, perché lo fate proprio affianco all’Aeroporto Leonardo da Vinci?” “Boh! Però nun è bono pe volà” “E dove si fa er tampone bbono?” “In Ospedale. Ce ne so’ tanti d’ospedali a Roma… scejine uno e vvai”.
L’indomani, il volenteroso genitore dell’alunno positivo a metà, secondo il test sierologico, sceglie un ospedale prestigioso ma fuori mano, posto a quaranta chilometri dal centro storico: il Campus Biomedico con indirizzo specifico del laboratorio ottenuto da Internet dove si magnifica l’efficienza dell’accertamento. Alle nove di mattina ci sono cinque macchine in fila fuori dalla barra posta a protezione dell’ingresso. “Ottima scelta, dunque!” si conforta il genitore pavoneggiandosi col figlio, dato che le notizie giornalistiche indicano file di dodici ore ovunque per il tampone molecolare. Macché! Esce un inserviente dal gabbiotto a spiegare che non ci sono speranze di poter eseguire l’analisi in giornata. Già 115 macchine sono state ammesse e per gli altri le speranze di entrare nel nosocomio entro l’orario di chiusura sono nulle. Gli irriducibili ottimisti sono, infatti, i cinque trovati di fronte alla sbarra d’ingresso. “Quanno ch’ho preso servizzio stammadina alle 6, la fila era già d’80 maghine”, spiega l’addetto del gabbiotto. “Dovete venì presto! Prima venite e prima ve n’annate!”
L’aitanza paterna di sgonfia ma non demorde. Di rientro a casa, il genitore decide di tentare all’Ospedale San Giovanni. Un vigile non lo caccia via, ma gli indica la fila che comincia nella zona pedonale di fronte alla basilica. Per chi conosce i luoghi si tratta di circa 800 metri rispetto all’ingresso del laboratorio, dalla parte dell’Addolorata. Lo spettro dell’attesa inutile per dodici ore si presenta nuovamente nei panni di un altro vigile che tenta di dissuadere dal permanere in fila. “Non c’è possibilità di fare l’esame per oggi. Torni domattina. Ma presto, però!”.
Sveglia alle quattro. In fila alle cinque. La teoria delle auto rispetto al cancello d’ingresso dell’ospedale è già di 200 metri. All’interno delle auto allineate ci sono persone che dormono sotto le coperte. Evidentemente sono venuti a dormire in macchina sin dalla sera precedente. La fila si muove nelle ore successive e alle 12 il prelievo al giovane è fatto. “Posso farlo anch’io?” chiede l’ingenuo genitore. “Cellai la ricetta del medico di base?” “Non ho fatto a tempo a prenderla.” “Allora torna domattina. Ma presto, però!”.
Il risultato del test praticato sul giovane, tre giorni dopo, sarà negativo.
Quasi quasi, un peccato! Se fosse stato positivo, sarebbe stata tutta da vedere la e-mail della Sindaca Raggi a questo ragazzino dal tono compunto, ma fermo ed efficiente con, al termine, il suo numero di cellulare e quello fisso accompagnati da quello della Confraternita della Misericordia per farsi portare la spesa a casa. E la monnezza? Pure quella presa fuori dalla porta? Ma davvero? A Roma? No, non ci credo!
Infatti: da non credere.