Una scia di sangue e di orrore senza fine. In Afghanistan nella scorsa settimana, tra le più tragiche degli ultimi anni, si sono susseguiti una serie di attentati che hanno falcidiato centinaia di vite.
Giovedì scorso almeno 12 bambini di una madrasa, una scuola musulmana, sono stati uccisi da un bombardamento delle forze afghane nella provincia settentrionale di Takhar, dove alcuni militari erano finiti in un’imboscata dei Talebani.
Nel distretto di Helmand, dove infuriano i combattimenti tra le forze di sicurezza e terroristi, continuano a essere coinvolti villaggi da cui arrivano ogni giorno feriti gravi e in fin di vita al Centro chirurgico a Lashkargah gestito da Emergency.
Tensione alta anche nel distretto di Andar dove un importante terrorista di Al Qaeda, l’egiziano Husam Abd-al-Rauf, alias Abu Muhsin al-Masri, consigliere di Al Zawahiri e secondo alcuni suo potenziale successore, è stato eliminato dai servizi di sicurezza e di intelligence afghani. Non senza ‘effetti collaterali’: almeno cinque vittime civili.
Ma è stato l’attentato suicida di sabato scorso a Kabul, rivendicato dall’Isis, l’episodio più grave di questa settimana di sangue in Afghanistan con 24 vittime e decine di feriti in gravi condizioni.
Un kamikaze si è fatto esplodere all’entrata di una scuola privata nella parte occidentale della capitale.
La zona ovest di Kabul è regolarmente presa di mira dallo Stato islamico in quanto abitata prevalentemente dagli Hazara, etnia sciita.
L’esplosione è avvenuta all’interno dell’istituto situato nel quartiere Dasht-e-Barchi, molto popolato, che ieri è stato nuovamente colpito con una bomba piazzata sul bordo della strada che è esplosa al passaggio di un autobus, causando la morte di dieci viaggiatori, comprese tre donne.
Il portavoce della polizia di Ghazn, Adam Khan Seerat, ha accusato i talebani dell’attacco.
L’attentato alla scuola è stato invece rivendicato dalla branca afghana dello Stato islamico «Provincia del Khorasan» che opera nel paese dalla fine del 2014.
Ma anche lontano da Kabul la situazione sembra deteriorarsi nonostante i colloqui di pace in corso a Doha.
Nel nord del Paese la penetrazione dell’Isis negli ultimi anni è stata massiccia, soprattutto nelle aree montagnose fra Pakistan e Afghanistan.
Come per altri simili attacchi terroristici in paesi a maggioranza musulamna, come Iraq e Yemen, il mondo è rimasto pressoché silenzioso e indifferente verso queste nuove vittime del terrore islamista in Afghanistan. Eppure la matrice degli attentati è, almeno per l’attentato a Kabul, la stessa.
Terrorismo islamico che colpisce indistintamente musulmani e cristiani in ogni latitudine e longitudine.
Il bilancio delle vittime di questi ultimi attentati è stato significativamente importante. Sono state falciate soprattutto vite giovanissime. Alcuni erano solo dei bambini.
Eppure la portata della reazione mediatica e della mobilitazione collettiva è stata a dir poco imbarazzante.
Ancora una volta assistiamo a un parallelo ignobile: da un lato i morti ‘occidentali’, quelli di serie A, dall’altro quelli mediorientali, asiatici e africani, di serie B. E mi chiedo e vi chiedo: se l’empatia per la Francia e il Belgio, di cui possiamo percepire e condividere la paura nel rendersi conto che il proprio paese, il luogo dove si supponeva di essere al sicuro, sia sotto attacco, è totale e globalizzante, non dovrebbe essere altrettanto naturale piangere e ricordare le vittime irachene, yemenite e pakistane che non riceveranno lo stesso supporto da parte dell’Occidente? E invece l’attenzione dedicata a quest’ultime, a causa della lontananza dei luoghi in cui si è consumato il loro dramma o per le appartenenze religiose, è debole, sbiadita. Anzi. L’unico effetto evidente è che interi popoli continuano a essere ostracizzati per gli atti imperdonabili di un piccolo gruppo di mostri. Ma la vita di un musulmano innocente non è meno preziosa di quella di qualsiasi occidentale, di qualunque credo esso sia.