E’ morto nella sua Correggio, a quasi 101 anni, Germano Nicolini, il partigiano “Diavolo”, protagonista di una delle pagine più brutte della giustizia e della lotta politica nell’Italia della Guerra Fredda. Nel 1947 infatti fu vittima di una macchinazione politico-giudiziaria ordita in primo luogo dal vescovo Socche e dal capitano dei Carabinieri Vesce, e che lo vide arrestato – giovane Sindaco ed eroe della Resistenza – per l’omicidio di don Umberto Pessina, avvenuto nel giugno 1946. In base a prove false e “confessioni” estorte con la tortura, fu condannato innocente – insieme ad altri tre estranei al delitto – a vent’anni di reclusione (metà dei quali dieci scontati).
Solo nel 1994 una nuova sentenza ristabilì la verità, e nel 1996 un’altra sentenza lo risarcì per l’ingiusta detenzione.
Se certa stampa all’inizio della vicenda aveva contribuito a creare il “mostro”, è stato anche grazie ai mezzi di comunicazione che il caso fu riaperto, ottenendo la revisione del processo, la totale riabilitazione di Nicolini e la restituzione dei diritti civili, come delle onorificenze militari, dei quali era stato privato.
Ufficiale dell’Esercito poi comandante partigiano, medaglia d’argento al Valor Militare, Cavaliere della Repubblica e dirigente cooperativo, è stato fino all’ultimo attento lettore di giornali e acuto osservatore della realtà nazionale: pochi mesi dopo l’assoluzione una delle sue prime uscite “pubbliche” fu un emozionante incontro con gli allievi dell’Ifg Bologna, L’Istituto per la Formazione al Giornalismo fondato dall’Ordine dei giornalisti e dall’Associazione stampa dell’Emilia-Romagna.
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