A Ronchi dei Legionari, sulla parete di una fermata dell’autobus, venerdì 16 ottobre viene inaugurato un murale dedicato a Daphne Caruana Galizia, realizzato dall’artista Massimo Raccozzi su commissione dell’associazione Leali delle Notizie, alla presenza del sindaco Livio Vecchiet, del sottosegretario di stato della presidenza del Consiglio con delega all’Editoria, Andrea Martella, Giuseppe Giulietti presidente della Federazione nazionale della stampa, Carlo Muscatello segretario del Sindacato giornalisti del Friuli Venezia Giulia, Cristiano Degano presidente dell’Ordine dei giornalisti del Friuli, Monica Andolfatto, segretario del Sindacato giornalisti del Veneto, Anna del Freo in rappresentanza del Sindacato europeo, Fabiana Martini del presidio Articolo 21 del Friuli. Per Rainews24 a Ronchi ci sarà la troupe televisiva con l’inviato Stefano Corradino.
L’opera di Massimo Racozzi è composta da articoli pubblicati in passato da quotidiani dove sono scritte le storie di tanti giornalisti assassinati per aver fatto il loro dovere di cronisti. Raffigura Daphne Caruana Galizia e l’associazione Leali delle Notizie di Ronchi ha dedicato alla giornalista, assassinata a Malta, un premio alla sua memoria, quest’anno assegnato a Fabiana Pacella, una giornalista che si è distinta per il suo impegno nel denunciare le molte illegalità commesse in Puglia. La consegna è avvenuta nel corso del Festival del Giornalismo di Ronchi che si è concluso il 26 settembre scorso, consegnato dalle mani della sorella di Daphne, Corinne Velle.
L’inaugurazione del murale, dedicato alla giornalista maltese assassinata in un attentato il 16 ottobre 2017, si svolgerà nella ricorrenza della sua scomparsa nel Comune che ospita dal 26 ottobre 2019 la prima “Panchina della Libertà di Stampa e di Espressione”: l’unica amministrazione italiana ad aver concesso la cittadinanza onoraria a Matthew Caruana Galizia, figlio di Daphne Caruana Galizia. La cerimonia prevede alle 10.30 l’inaugurazione del murale a cui seguiranno alle 11 gli interventi ufficiali nella sala del consiglio comunale di Ronchi dei Legionari con il sindaco di Ronchi, Livio Vecchiet, del presidente della FNSI, Giuseppe Giulietti e degli amministratori regionali. L’evento è organizzato dall’associazione culturale Leali delle Notizie di Ronchi dei Legionari, in collaborazione con il Comune e il sostegno della Federazione nazionale della Stampa Italiana. La motivazione «vuole essere un omaggio a tutti i giornalisti, operatori e addetti dell’informazione che hanno perso la loro vita solo per aver fatto il loro lavoro e aver voluto assicurare un’informazione veritiera e leale. Rientra inoltre negli obiettivi e principi a cui si ispira l’associazione culturale Leali delle Notizie, che dalla sua fondazione si sta battendo per la libertà di stampa e di espressione».
La Federazione nazionale della stampa è stata riconosciuta come parte civile al processo a Malta in cui in cui è imputato Neville Gafà per le minacce rivolte a Nello Scavo, il giornalista di Avvenire ( Gafà è stato un esponente di rilievo del governo precedente e tra quelli che attaccavano Daphne Caruana Galizia). Questa mattina alle 9 è prevista la sentenza e nell’aula del tribunale sarà presente anche l’avvocato della FNSI Giulio Vasaturo. Il 16 ottobre si svolgerà una manifestazione a La Valletta per il terzo anniversario dell’assassinio di Daphne.
Giuseppe Giulietti nel presentare l’iniziativa italiana spiega che «alla stessa ora dell’inaugurazione del murale, dedicata a Daphne, ci collegheremo con Malta e con noi ci sarà anche il sottosegretario Andrea Martella. Sarà la principale iniziativa che si svolgerà in Europa. Il 16 ottobre potrebbe diventare la giornata nazionale per chi ancora chiede e reclama verità e giustizia». Il legame consolidato tra la famiglia di Daphne e la città friulana, dove da sei anni il giornalismo che si distingue per la sua ricerca della verità dei fatti, si ritrova insieme ad una comunità di cittadini capace di far sentire la loro solidarietà. Una testimonianza preziosa per chi non intende recedere di fronte ad un clima di odio e ostilità verso chi si impegna nel garantire un diritto e dovere sancito dalla Costituzione: l’Articolo 21. Ronchi si dimostrata un luogo che sa accogliere e ascoltare senza contrapposizioni ideologiche; a differenza di chi utilizza una narrazione inficiata da false notizie (le famigerate fake news): questione su cui è urgente trovare rimedi legislativi e culturali. Il Festival nasce per volontà di Luca Perrino e Cristina Visintini presidente e vicepresidente dell’associazione Leali delle Notizie. Ogni anno si ritrovano personalità della cultura e giornalisti che si distinguono per contrastare ogni forma di illegalità, discriminazione, e manifestazioni d’odio. Un’informazione basata sull’accertamento della verità e delle notizie per contrastare ogni forma di falsificazione e manipolazione. Un susseguirsi di incontri e dibattiti grazie ad un confronto serrato tra i protagonisti accolti sul palco creato all’interno di una tensostruttura bianca: un’agorà vivace dove il pensiero intellettuale si è manifestato in tutta la sua drammaticità per i contenuti stessi degli argomenti. Storie di giornalisti sottoposti a minacce continue, esperienze significative come quella di Angela Caponnetto inviata di RaiNews 24, di recente insultata per aver parlato da Lampedusa rivelando una storia inventata da una donna che denunciava l’uccisione dei suoi cani per essere poi mangiati da alcuni uomini sbarcati sull’isola. Nello Scavo costretto a vivere sotto scorta come Sandro Ruotolo, Giuseppe Antoci (presidente onorario della Fondazione Caponetto ed ex presidente del Parco dei Nebrodi), la cui vita è a rischio per le minacce di morte e a sua volta protetto da agenti di polizia.
Barbara Schiavulli corrispondente di guerra ha presentato il premio “Leali delle Notizie – In memoria di Daphne Caruana Galizia” e consegnato a Fabiana Pacella. Un’opera d’arte dell’artista Franco Milani. Alla collega ha dedicato un discorso che riportiamo integrale: «Chi affronta la fatica di mettere su un festival del giornalismo in tempi di corona-virus, chi è qui in una serata che sembra quasi invernale, chi riceve un premio in nome di una persona uccisa perché voleva combattere la corruzione di un governo, sceglie, magari senza saperlo, un giornalismo diverso. I giornalisti dovrebbero essere le voci di coloro ai quali hanno tappato la bocca, non di chi aggredisce una ragazza dopo un anno e mezzo di prigionia, o svilisce la vita di una persona che viene da noi fuggendo da una guerra. I giornalisti e i giornali che hanno il tempo per insultare gli altri, dovrebbero farsi una vita vera. Questo mestiere si fa per tutte quelle persone che non hanno voce. Persone che vivono vite difficili. Quelli che la vita la perdono e di cui noi raccogliamo l’eredità. Si fa giornalismo per ricordare che non siamo uno, ma tutti. Ed è nostro dovere proteggere chi ha bisogno, che sia in prigione per un tweet o insultato da un razzista. Siamo in Friuli Venezia Giulia e non possiamo non ricordare Giulio Regeni, e la vergogna politica dell’ingiustizia ma non possiamo neanche dimenticare che nelle carcere egiziane ci sono 60 mila detenuti politici. Così come in Iran, in Cina, in Arabia Saudita e in decine di altri paesi. Perché lo abbiamo imparato con il corona-virus quello che succede a chiunque da qualsiasi parte del mondo, può succedere anche a noi. Oggi in Italia dobbiamo abbassare i toni e alzare il livello. Il mondo è cambiato ci dicono visualizzazioni e algoritmi. Oggi notizie e notiziari sfruttano al massimo internet, podcast, streaming, facebook, twitter, si trasforma la gente in reporter tramite istragram, snapchat e blog. Gli utenti diventano il pubblico, il pubblico diventa collaboratore. Da persona che fa questo mestiere da 25 anni, non credo che alla gente esploderà la testa se si raccontano le cose nel modo giusto, corretto, senza istigarle al razzismo solo raccontandogli cosa succede nelle loro vite e anche magari nelle vite degli altri. Sì, il mondo è cambiato, ma non lo è la necessità sociale di avere un organo come il giornalismo a presidio della democrazia. E spesso quel giornalismo che non si riesce a fare nei giornali, lo si fa in posti come questo, dove un festival diventa un momento di giornalismo impegnato. Fuori da questo tendone, mi colpisce l’indifferenza dei media tradizionali verso talento, esperienza e credenziali e temo che l’assenza di parole come verità, fiducia e professionalità non sia una svista. Il buon giornalismo non può essere fatto da chiunque abbia un telefono, né da chi viene pagato quattro euro a pezzo. È inaudito e inaccettabile. I giornalisti veri non scrivono per un giornale ma per la società sana, che riguardi la nostra città o il resto del mondo. Raccontano storie, fatti e persone. Cercano di farlo con empatia verso la sofferenza, attraverso l’informazione quella indipendente che guarda a chi ha bisogno e non chi è al potere. Giornalisti che credono nei ponti e non nei muri. Credono nelle crepe, nelle aperture, nella contaminazione. Giornalisti che sono per le strade, tra i villaggi, negli interstizi. Un giornalismo a servizio degli altri, non che li usa. E vi assicuro che la qualità non va mai in fallimento. Solcare questo palco è una promessa per chi crede in questo mestiere. Il lavoro del giornalismo è garanzia, denuncia, racconto, approfondimento e studio. Questo festival, questo premio, e questa giornalista che sta per essere premiata, come tutti i freelance sa quanta fatica si fa ad arrivare a fine mese eppure si continua a farlo, perché ci si crede, perché è importante, perché è il nostro modo di celebrare la vita, anche rischiandola. A Fabiana Pacella amica e collega, va il premio Leali delle Notizie in memoria di Daphne Caruana Galizia, questa la motivazione: “Giornalista coraggiosa e tenace che per amore della sua terra, la Puglia, non ha esitato a svolgere indagini e reportage sul panorama politico, imprenditoriale, economico e criminale pugliese. Lavoro che le è costato un incarico da addetto stampa e ritorsioni e querele temerarie per aver reso noti i collegamenti tra indagati eccellenti. Tra le inchieste di cronaca, quella che ha portato al commissariamento per infiltrazioni mafiose del Comune di Carmiano. Nonostante le minacce, Fabiana Pacella non si è mai tirata indietro e continua la sua lotta per la libertà di stampa, di espressione e di informazione”.
L’intervento di Giuseppe Giulietti nel salutare tutta la cittadinanza di Ronchi e gli ospiti presenti ha voluto ringraziare in particolare Corinne Vella, la sorella di Daphne e l’artista Massimo Racozzi per aver creato un’opera d’arte che dimostra un’attenzione particolare per chi ha perso la vita nello svolgimento del suo lavoro: «Non deve mai provenire solo della famiglia della vittima la richiesta di verità e di giustizia, ma è un dovere e un problema di tutti noi farlo. Ricordo come la madre di Ilaria Alpi ha chiesto invano fino alla sua scomparsa di poter sapere chi ha assassinato sua figlia. E mi rivolgo anche a chi polemizza per i giornalisti a cui è stata assegnata una scorta. Vivere sotto scorta è una disgrazia e non dovrebbero essere mai i giornalisti ad averle ma i delinquenti. Penso a Giovanni Antoci, a Paolo Berizzi, Paolo Borrometi (citando solo alcuni dei tanti giornalisti e non solo protetti, ndr), e voi di Leali delle Notizie dovete essere orgogliosi di quello che avete saputo creare con questa manifestazione. Grazie a voi la panchina della libertà c’è anche a Torre Annunziata, dedicata a Giancarlo Siani nel 35esimo della sua scomparsa dove c’è anche una biblioteca civica per i bambini intitolata al giovane collega. Penso alla panchina che avete realizzato per il ghetto ebreo di Roma in memoria dei giornalisti deportati nei lager nazisti. Ora chiederemo di portarne una anche a Milano per onorare la figura di Walter Tobagi. Ronchi non è la capitale delle commemorazioni ma dell’amore che dobbiamo provare per ricordare chi non c’è più. Dimostrate di possedere una passione civile – ha proseguito Giulietti – che vi fa onore e Luca e Cristina ( Perrino e Visintini, ndr) sono gli artefici di un Festival sempre più prestigioso (insieme ad un gruppo di volontari guidati dallo spirito di collaborazione così unito da permettere la realizzazione di tanti eventi, e uno di questi in rappresentanza di tutti loro è Giovanni Del Prete, ndr). L’articolo 21 non è dei giornalisti ma di ognuno di voi a dimostrazione di una straordinaria civiltà» – ha concluso Giulietti.
Massimo Racozzi in occasione dell’ inaugurazione ci ha rilasciato un’intervista che dimostra come sia importante mantenere la memoria e poterla tramandare. Questa la testimonianza di un padre insieme ai suoi figli davanti al murale: “Guardate quella donna. Dovete sapere chi è. È importante per voi, per il vostro futuro. Quel volto, il volto di Daphne, è composto dai volti di tutti i giornalisti morti ammazzati mentre cercavano la verità”.
«Ci siamo incontrati e salutati e mi sono reso conto che lavorare su una storia di una persona che non c’è più era molto delicato e difficile. Il compito di cercare attraverso la tua sensibilità di far rivivere chi era forte e tenace come Daphne. Guardavo i suoi occhi e mi sono reso conto che non riuscivo a realizzare quello che desideravo veramente, continuando a guardarci a vicenda – spiega Massimo Racozzi – e sempre più mi rendevo conto di aver prodotto qualcosa che non era mio. La notte mi ha portato consiglio e il lavoro ha preso una via diversa. La progettazione rivolta ad una redenzione in cui è presente un notevole scarto per via della componente umana e la fisicità dei materiali. Gli articoli erano elementi diversi e avvicinarsi alla notizia è stato un atto fisico e non mentale. Creare il volto assemblando le notizie scelte e usare la forbice su un’immagine funebre. La selezione che ho fatto nel selezionare le pagine dei giornali aveva come scopo quello di restituire ai fruitori stessi la trasmissione dell’impegno e l’importanza del significato dell’opera. Il lavoro di realizzarla possiede sempre un livello egoistico e personale all’inizio ma poi non è più mia e diventa di altri. Devi credere in quello che hai fatto». Tutti lo crediamo dopo averla vista su quella parete bianca asettica ma resa immortale per la minuziosa cura di assemblare piccoli frammenti di carta stampata, con le foto dei giornalisti e della stessa Daphne , rigorosamente in bianco e nero da cui emerge il viso sorridente che Daphne rivolge ai passanti ogni giorno e la sua presenza a Ronchi è diventata universale; come segno distintivo che non si deve mai cedere alla rassegnazione e al dolore ma perseguire la ricerca della verità.