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Vita di Rossana Rossanda, ovvero la mucca di Fidel

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Nel profluvio di articoli più o meno sinceri (e ipocriti) su Rossana Rossanda (Pola, 23 aprile 1924 – Roma, 20 settembre 2020), vorremmo che la cofondatrice del quotidiano il manifesto fosse ricordata attraverso la lettura dei suoi articoli e libri, iniziando da La ragazza del secolo scorso (Einaudi, 2006), autobiografia che, pur fermandosi al 1970, ci aiuta a capire la sua particolare figura di donna e intellettuale.

Quando chiesi a Castro perché invece di correre dietro alle vacche non provava ad allevare pecore, che in Sardegna crescono nutrendosi di niente, mi guardò di sbieco. Forse era una scemenza. L’Avana era tutta un paradosso.” Durante un suo viaggio a Cuba nel 1967 veniva esibita davanti a una sbalordita Rossanda una giovane mucca, primo incrocio tra gli zebù, che prosperano ai tropici ma non danno latte, e le vacche, che di quei luoghi non sopportano caldo e foraggio. Aneddoto e colloquio, paradigmatici di una storia di potenzialità inespresse e fallimenti. Se si legge il suo libro come un romanzo di formazione se ne resta affascinati. Chi non lo avesse mai letto comincerà forse a sfogliarlo con diffidenza, pensando di trovarsi di fronte al solito memoir di una donna particolare – una delle poche a rivestire in Italia incarichi politici di rilievo tra il secondo dopoguerra e il 1970, ma niente di straordinario in fondo; invece, pagina dopo pagina, si rimarrà sorpresi, avvinti dalla capacità dell’autrice di intrecciare vita privata e pubblica in un groviglio inesplicabile di passioni, che rendono il suo testo diverso da un mero saggio autobiografico. La ragazza del secolo scorso nasce riordinando in forma narrativa le note più intime, scritte negli anni e mai pubblicate. E scrivendo a memoria. Ne viene fuori la fotografia di un paese visto attraverso la lente di una ragazza che ha avuto la fortuna di godere di un osservatorio privilegiato, quello delle politiche culturali del PCI, e di frequentare personalità politiche e intellettuali di ogni parte del mondo con la loro grandezza e anche con le loro miserie umane. Sarebbe riduttivo, però, pensare a questo libro come ad una mera testimonianza di incontri con protagonisti della storia italiana ed europea, le cui vite si sono spesso incrociate con eventi cruciali del nostro mondo: la guerra civile, la sconfitta del Fronte popolare ad opera della DC, la ricostruzione, i fatti d’Ungheria, Cuba, la rivoluzione culturale in Cina, il maggio francese, la primavera di Praga. Fu proprio la critica all’aggressione sovietica della Cecoslovacchia che le costò l’espulsione dal partito e portarono lei, Magri, Castellina, Parlato, Pintor e Natoli a fondare il giornale comunista. Il suo libro è qualcosa d’altro, è soprattutto il racconto di un percorso di formazione di una giovanissima donna, che, nata nel 1924 in Istria da una famiglia benestante (suo padre era notaio), poi trasferitasi a Milano per investimenti paterni errati, si laurea in filosofia, ma soprattutto matura un percorso di opposizione – sarà anche staffetta per la resistenza –  al fascismo, che la conduce nel 1943 a diventare comunista. Una strada per nulla scontata, soprattutto pensando a quello che lei era nei suoi anni istriani. Nessun segno, come dire, premonitore del “politico”, ma il racconto di una fanciulla, come tante in quel tempo anteguerra, che viveva serenamente – in mezzo a figure femminili, madre, zie, sorella – la sua adolescenza borghese in luoghi ricordati bellissimi: “non so come si chiamino adesso, non sono mai tornata. Erano isole abitate dai conigli selvatici, vi approdavamo dal bragozzo, i narcisi erano alti come me e profumavano forte. Mamma mi insegnava a cogliere gli asparagi selvatici affondando le dita nel muschio.” I ricordi della piccola Rossana sovrastano a volte quelli della Rossanda, la dimensione intima prevale spesso su quella pubblica e politica della funzionaria del PCI, impegnata a discutere con intellettuali, femministe e operai dei destini del paese e del mondo. Asciutte ma inconsapevolmente liriche le sue parole toccano le corde di sentimenti e passioni che ogni lettore ha vissuto nella propria vita, lasciando il senso di un’etica fortissima, mai messa in discussione nemmeno di fronte ai fallimenti (e alla dissoluzione) di quello che fu il suo partito. “Come far capire che per noi il partito fu una marcia in più? Ci dette la chiave di rapporti illimitati, quelli cui da soli non si arriva mai, di mondi diversi, di legami fra gente che cercava di essere uguale.


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