Per descrivere quanto fosse stata ardua la sua ascesa ai massimi livelli della giustizia americana, Ruth Bader Ginsburg diceva di sé che agli inizi della sua carriera c’erano tre elementi che la penalizzavano: era un’ebrea, era una donna e, cosa ‘peggiore’ di tutte, era madre di un bambino di quattro anni.
Eppure nulla di tutto ciò ha impedito alla brillante professoressa di diritto, avvocata e attivista per la difesa dei diritti delle donne, di arrivare alla Corte Suprema degli Stati Uniti.
Sembrava immortale, anche e soprattutto a se stessa, ma ieri sera, a 87 anni, si è lasciata andare, ponendo fine alla sua lunga battaglia con il cancro.
Negli ultimi due anni era stata sottoposta a interventi a pancreas, colon e polmoni, aveva affrontato la chemioterapia ed era stata nuovamente operata nei mesi scorsi per una recidiva.
La malattia l’aveva consumata, ma fino alla fine non aveva spento la risolutezza della giudice icona dell’Alta Corte statunitense., ‘the notorious R.B.G’, come la definivano i suoi numerosi estimatori.
Ruth Bader Ginsburg era una delle tre rappresentanze liberal, la più carismatica, del massimo organismo giuridico del Paese, e per tutta la sua carriera si è battuta per difendere le conquiste degli ultimi decenni in materia di diritti civili.
Aveva garantito che non avrebbe lasciato il suo posto fino a quando la salute glielo avesse permesso. E così è stato.
Indicata come giudice della Corte suprema nel 1993 da Bill Clinton, era reduce dalla sua esperienza a Harvard e poi alla Columbia. Negli anni 70, era stata direttrice del Women’s Rights Project della organizzazione libertaria American Civil Liberties Union.
Con la sua importante azione, a cominciare dai dibattimenti contro la discriminazione sessuale, ha segnato la giurisprudenza americana. Con le sentenze su aborti, pari opportunità e matrimoni gay ha favorito, o ne ha garantito il consolidamento, diritti troppe volte messi in discussione.
Parlando della sua battaglie per l’autodeterminazione delle donne nella scelta di interrompere una gravidanza diceva: non chiedo favori per il mio sesso, chiedo solo che smettano di calpestarci.
Le sue ultime parole, affidate prima della morte alla nipote Clara, sono state per il futuro della Corte di cui è stata paladina per 27 anni: spero, è il mio più fervente desiderio, di non essere sostituita fino a che un nuovo presidente si sarà insediato.
Più che una speranza un’illusione.
Il presidente americano, Donald Trump, dopo aver espresso parole di circostanza per la scomparsa della Ginzburg, ha fatto sapere di essere pronto a nominare già nei prossimi giorni il giudice che la sostituisca.
Una nomina che potrebbe cambiare gli equilibri e la storia della lotta per i diritti negli Stati Unitu.
Intanto, da Clinton a Obama, da Biden alla Pelosi, tutti piangono una perdita incalcolabile per la democrazia e per tutti coloro che si impegnano per costruire un futuro migliore per le nuove generazioni.
La speranza è che almeno il Congresso possa garantire che il nuovo giudice prosegua sulla strada dell’uguaglianza dei diritti, le opportunità e la giustizia per tutti affinché il percorso intrapreso negli ultimi cento anni non sia interrotto.
Resta, quello della Ginsburg, un percorso unico e un impegno straordinario.
Le donne, non solo quelle americane, da oggi sono un po’ più sole.