Votando oggi, il centrodestra vincerebbe le elezioni con qualunque legge elettorale. Il sondaggio di Nando Pagnoncelli, in prima pagina sul Corriere della Sera, non lascia dubbi ma non dovrebbe neppure sorprendere. I risultati delle elezioni regionali e del referendum, nell’opinione dei più, hanno rafforzato la maggioranza di governo e allontanato l’ipotesi di una conclusione anticipata della legislatura. Potrebbe rappresentare, come ha detto Conte, un “nuovo inizio”. Ma il percorso ancora incerto non poteva cambiare gran che nelle intenzioni di voto. E infatti la Lega resta al 24%, seguita dal Pd (19,3%) e M5S (18,6%), quindi Fratelli d’Italia (16,7%),Forza Italia (6,8%9, Italia viva (3,1%) e Azione (3%).
Non ci vorrebbe molto per dare una mano a questo “nuovo inizio”. Basterebbe puntare sui temi che uniscono anziché su quelli che dividono. Dal sostegno agli investimenti pubblici all’economia sostenibile, al rilancio del Sud, alla riduzione dei tempi della giustizia civile, ecc. Basterebbe incoraggiare al chiarimento interno delle idee e dei programmi non solo i Cinquestelle, ma anche il Pd, dove l’esodo dei renziani è stato solo parziale. Basterebbe uscire finalmente dall’equivoco di una sinistra neoliberista. Non si comprende con quale consapevolezza del presente e quale idea del futuro ci sia ancora chi pensa di recuperare il consenso perduto in questi anni puntando sulla demolizione mediatica dei Cinquestelle e rifiutando ogni ipotesi di dialogo e collaborazione con loro.
La sfuriata di De Benedetti
La sfuriata di Carlo De Benedetti a “Piazza pulita” è servita a rendere chiaro a tutti l’orientamento antigovernativo del suo nuovo quotidiano “Domani”. Che poi non si distingue molto da quello dei giornali del gruppo Fiat, dalla Repubblica alla Stampa. Con l’obbiettivo esplicito di sciogliere l’alleanza coi Cinquestelle. Contro la sopravvivenza di un parlamento che l’ex presidente del gruppo Espresso-Repubblica dichiara “sfiduciato” dai sondaggi e nelle consultazioni europee e amministrative più recenti.
Invano Bersani ha tentato di richiamare l’attenzione del suo interlocutore sui meriti riconosciuti al governo in un anno estremamente difficile sia per la salute che per l’economia. “Questo Parlamento non può eleggere il nuovo Presidente della Repubblica”, ha ripetuto più volte l’anziano editore. Lo stesso che fino a qualche tempo fa rivendicava la tessera numero uno del PD. “Ma quella era soltanto una boutade”, aveva poi precisato Veltroni.
Una democrazia “zoppicante”
Ovvio che la confusione delle idee e delle lingue è molta. A cominciare dai Cinquestelle ma anche altrove. Sulla democrazia diretta ma anche su quella rappresentativa. Beppe Grillo non ha tutti i torti a definirla “zoppicante” se va a votare soltanto la metà degli aventi diritto. Ma lo è di più per molti di noi se il fondatore del partito con la maggioranza relativa in Parlamento propone di sostituirla con un sorteggio periodico tra cittadini “con determinati requisiti”.
Ciò detto, non dobbiamo dimenticare che Beppe Grillo ha sempre rivendicato la sua professione di comico e un’assoluta libertà di linguaggio. Mascherando col buffo nomignolo di “elevato” il ruolo di garante del movimento, si diverte ancora a sorprendere i media con le sue battute. Non è da escludere che quella riaffermazione molto teorica della democrazia diretta fosse destinata a rabbonire i più delusi tra i suoi, a cominciare da Alessandro Di Battista.
Sulla legge elettorale
Agli “Stati Generali” del movimento, possiamo stare tranquilli che non sarà sul sorteggio dei parlamentari che i “grillini” si divideranno. Non sarà il mito della democrazia diretta a ostacolare il proseguimento dell’alleanza di governo col Pd, Leu e Italia viva. Altri sono gli argomenti su cui scontrarsi. Il Mes, anzitutto, e la riforma o cancellazione dei decreti Salvini. Ma prima ancora la legge elettorale, già presentata in Commissione ma ancora in alto mare.
Non c’è accordo – ha precisato il presidente Brescia – su “pluricandidature, listini bloccati, preferenze, sbarramento, diritto di tribuna”. Come è noto, Pd e 5S convengono sull’ipotesi di un sistema proporzionale alla tedesca, con sbarramento al 5 per cento e garanzia del diritto di tribuna. Leu si limita a chiedere di abbassare la soglia al 4 per cento, ma Renzi si mette ancora di traverso e insiste sul maggioritario “in cui la sera delle elezioni si sa chi ha vinto”.
Preferenze o collegi uninominali
Come garantire la rappresentanza al cittadino elettore in un Parlamento così ridotto nel numero? Il testo base approvato in Commissione non affronta il tema delle preferenze. I Dem vorrebbero conservare la selezione dei candidati attraverso le primarie. Matteo Renzi, se non fosse possibile accordarsi sul maggioritario accetterebbe solo i collegi uninominali. Mentre l’esponente di Leu nella Commissione Federico Fornaro osserva che potrebbe esistere un modello misto, quello di prevedere nelle 28 circoscrizioni un capolista bloccato e per gli altri le preferenze e le preferenze di genere”.
Una democrazia diffusa e informata
Personalmente ritengo che il voto di preferenza possa garantire la rappresentanza ai cittadini e ai loro interessi soltanto se accompagnato da un’informazione adeguata sui candidati, le loro competenze e il loro operato. Non dimentichiamo che in passato il voto di preferenza era spesso oggetto di discriminazione in base al censo ma anche di corruzione e pressione indebita da mafie, clientele politiche e camarille di vario genere. Per questo il 9 giugno del 1991 il referendum Segni introdusse la preferenza unica.
Ma la scelta, se non può essere lasciata come è attualmente alle segreterie di partito non può neppure essere affidata soltanto alla propaganda occasionale dei social, ai talk show televisivi o ai passanti per le primarie. Richiede di ricostruire nei territori il funzionamento e la mediazione permanente di organismi intermedi, come partiti, sindacati, associazioni di volontariato, comitati di quartiere ecc., restituendo loro voce e potere. Perché tornino ad essere quello che erano negli anni precedenti alla svolta neoliberista. Come li ricorda Fabrizio Barca nel suo libro “Un futuro più giusto”, luogo “non solo di militanza, ma anche di confronto acceso, informato e aperto fra diversi saperi, del fare e del ricercare, quale luogo di incontro fra ‘esperti’ e movimenti”. La democrazia funziona soltanto se diffusa e informata.