“Siamo tutte Miss Marx”: se fossi il responsabile marketing del secondo film italiano in concorso a Venezia ( il che ovviamente non è ) inonderei l’Italia di T-shirt con questa scritta. Perché è vero. La Eleanor “Tussy” Marx, sestogenita prediletta del Karl de “Il Capitale”, è una di noi. E non solo per la confezione punk-rock che le ha cucito addosso Susanna Nicchiarelli, affrancandosi definitivamente dagli stilemi consunti del cinema nostrano di questi tempi.
Lo dico per chi si fa venire l’orticaria davanti al solo cognome : tranquilli, “Miss Marx” può sedurre anche voi. Nicchiarelli – una delle otto registe donne in competizione, e non, giura il Direttore Barbera, in forza di protocolli ‘di genere’- era partita a razzo col suo primo film, “Cosmonauta”. Quando uscii dalla proiezione mi feci dare il suo numero per chiamarla, da sconosciuta a sconosciuta. Era già allora diversa, prometteva un cinema di vocazione europea, forte, nuovo e asciutto. “Nico, 1988”, che tre anni fa qui a Venezia ha vinto il premio per il miglior film a “Orizzonti”, forse già meritava la corsa per il Leone. E finalmente con il quarto film è arrivata l’ora della prima linea.
Non mi piace l’etichetta di “cinema al femminile”, ma se su questo terreno si sperimentano linguaggi e si fa vera ricerca, allora ben venga. “Miss Marx” è un film libero, e non so immaginare complimento migliore. Esce in sala il 17 settembre.
Eleanor Marx nasce nel 1855 e muore suicida a 43 anni, nel 1898, dopo aver fatto da infermiera a padre e madre, dopo aver curato le edizioni britanniche di “Lavoro salariato e capitale”e di “Salario, prezzo e profitto”, dopo aver amato e tradotto con passione letteratura e teatro, dopo aver militato per le organizzazioni operaie e per l’emancipazione femminile. Due fronti che per la sua modernissima sensibilità sono indissolubili. Questo è Wikipedia ‘in a nutshell’, in un guscio di noce, per dirla all’inglese, per chi voglia risparmiarsi la biografia in due volumi di Yvonne Kapp, pubblicata in Italia da Einaudi.
Nicchiarelli non fa agiografia, non è questo che le interessa. Le interessa una lacerazione che ci riguarda da vicino, nel nostro XXI secolo : quella tra la donna colta e impegnata e la donna innamorata di Edward Aveling, intellettuale socialista fascinoso quanto spendaccione e fedifrago. Scrive Eleanor, e suonano parole di oggi :”Noi donne siamo moralmente dipendenti dall’uomo e ancora maltrattate da lui”.
Vale per Aveling, vale per un genitore tanto mitico quanto incombente. In una folgorante messa in scena di “Casa di bambola”di Ibsen ( storicamente documentata, sul palco con Eleanor e Aveling c’era anche George Bernard Shaw ) la sua Nora accomuna padre e consorte nell’opera di annientamento della propria dignità. E’ un film, “Miss Marx”, che non fa sconti : si dà conto della disperazione di Eleanor quando scopre che il preteso figlio illegittimo di Engels e di Helen, fedele cameriera di casa Marx, era in realtà figlio di Karl : un cedimento all’ipocrisia per lei inconcepibile.
E’ una materia rovente che Nicchiarelli affronta, di volta in volta, eludendo il mélo con distacco brechtiano oppure tuffandocisi a capofitto, rompendo la narrazione con filmati d’epoca, scatenando la sua Eleanor ( che è una splendida Romola Garai, vista già in “La fiera delle vanità”, “Angel”,“Espiazione”, “Suffragette”) in anacronistiche danze da ragazza contemporanea. Le musiche fanno da sponda, a contrasto : sono firmate dai “Gatto Ciliegia contro il Grande Freddo”, magicamente disfunzionali, e la cover della springsteeniana “Dancing in the dark” dei “Downtown Boys” è da levare la pelle.
I cinefili volenterosi potranno scovare più di un tratto di affinità tra Miss Marx e Adèle Hugo, altra figlia tragica di padre mitico, trattata da Truffaut in “Adèle H.”. Ma Adèle Hugo non scriveva che le donne sono vittime di sfruttamento e oppressione quanto i lavoratori da parte del padrone, né Truffaut ci racconta una bohémienne che si fa le ‘canne’ dell’epoca, cioè le pipette di oppio.
Alla scoperta del tradimento finale di Aveling, Eleanor Marx reagirà come quella Madame Bovary che lei stessa ha tradotto in inglese. Ma è una scelta lucida. Ragione e sentimento, Sense and Sensibility, il conflitto non è cambiato dai tempi di Jane Austen. Ma se lo applichi a una ragazza che ha vissuto in prima persona le grandi battaglie che ancora impegnano il mondo, è il tema più attuale che esista.