Gli Stati Parti del presente Statuto; Consapevoli che tutti i popoli sono uniti da stretti vincoli e che le loro culture formano un patrimonio da tutti condiviso, un delicato mosaico che rischia in ogni momento di essere distrutto; Memori che nel corso di questo secolo, milioni di bambini, donne e uomini sono stati vittime di atrocità inimmaginabili che turbano profondamente la coscienza dell’umanità; Riconoscendo che crimini di tale gravità minacciano la pace, la sicurezza ed il benessere del mondo; Affermando che i delitti più gravi che riguardano l’insieme della comunità internazionale non possono rimanere impuniti….
Così recita il preambolo dello Statuto che istituisce la Corte penale internazionale stipulato a Roma il 17 luglio 1998. Lo Statuto è entrato in vigore il 1° luglio 2002 ed attualmente sono 123 gli Stati che aderiscono alla sua giurisdizione. La Corte penale internazionale è l’unica istituzione di garanzia volta a rafforzare i precetti del diritto internazionale che bandiscono il genocidio, i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità, intervenendo laddove gli Stati nazionali non sono in grado di assicurare la repressione dei crimini più gravi che offendono la coscienza morale dell’umanità. E’ una sorta di istituzionalizzazione della Corte di Norimberga che nel 1945/46 giudicò i crimini nazisti nell’interesse della Comunità Internazionale. La Corte di Norimberga non ebbe difficoltà a processare i responsabili del genocidio e degli altri orribili crimini di guerra commessi dal Terzo Reich essendo il Tribunale dei vincitori, la Corte penale internazionale, invece, dovendo giudicare crimini commessi da agenti di Stati che non sono stati sconfitti e generalmente godono di buona salute, deve confrontarsi con difficoltà di ogni tipo. E’ già sintomatico che tre dei cinque paesi membri del Consiglio di Sicurezza (USA, Cina e Russia) non abbiano aderito alla giurisdizione della Corte penale internazionale. Se Cina e Russia sono rimaste piuttosto defilate, gli Stati Uniti, fin dall’inizio hanno manifestato un’aperta ostilità al lavoro della Corte, che hanno cercato di ostacolare in ogni modo. Adesso, nell’era Trump siamo arrivati alle minacce ed alle sanzioni personali nei confronti degli organi della Corte per impedire che svolgano il loro lavoro di accertamento e di repressione dei crimini internazionali. Il 2 settembre il Segretario di Stato Mike Pompeo ha annunciato che gli USA applicheranno delle sanzioni contro la Corte penale internazionale che ha definito “un’istituzione totalmente perduta e corrotta”, aggiungendo: “noi non tolleriamo il suo illegittimo tentativo di sottoporre gli americani alla sua giurisdizione”.
Le sanzioni sono dirette contro la Procuratrice Fatou Bensouda e il capo della giurisdizione del tribunale Phakiso Mochochoko, che sono stati entrambi inseriti nell’elenco “Specially Designated Nationals” del Dipartimento del Tesoro. Il provvedimento, che si basa su un ordine esecutivo emesso dal presidente Trump nel mese di giugno contro i funzionari della Corte, comporta il blocco di tutti i beni che essi potrebbero avere negli Stati Uniti o soggetti alla legge americana. Pompeo inoltre ha annunziato che ci sarà una restrizione dei visti per tutte le persone che collaborano con l’inchiesta condotta dalla Procura della Corte sui crimini di guerra commessi dagli USA in Afganistan. Del resto alla stessa Procuratrice della Corte è stato revocato il visto per gli USA e le è stato concesso soltanto di recarsi a New York al Consiglio di Sicurezza, dopo una trattativa con l’ONU. Nello scorso mese di marzo la Procuratrice aveva ricevuto il via libera dalla Corte per indagare sui crimini di guerra commessi nel teatro afgano dai Talebani, dalle milizie governative e dalle forze militari statunitensi.
Le agenzie ci informano che l’ordine esecutivo emesso da Trump è stato concordato con il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Questi si è subito congratulato per la decisione di imporre sanzioni alla “corrotta e faziosa Corte penale internazionale”, definendola una “Corte politicizzata ossessionata dal condurre caccia alle streghe contro Israele, gli Stati Uniti e altre democrazie che rispettano i diritti umani “. Netanyahu ha accusato la Corte di aver inventato “accuse stravaganti”, come che “gli ebrei che vivono nella loro patria storica costituiscono un crimine di guerra”. Questa viscerale critica di Netanyahu si fonda evidentemente sulla concezione che il territorio dell’ex Mandato britannico sulla Palestina sia stato assegnato direttamente da Dio allo Stato di Israele, mentre la Corte, che non ha competenza in materia di diritto biblico, assume fra le fonti del diritto internazionale la terza Convenzione di Ginevra del 1948, che vieta ad una Potenza occupante di trasferire la sua popolazione nei territori occupati.
Trump invece, non ha bisogno di ricorrere alla Bibbia per rivendicare il diritto di farsi beffe del diritto internazionale e per sottrarsi all’obbligo di rispettare le regole che impongono un minimo di umanità anche nei conflitti armati. In questo non c’è nulla di nuovo, anzi c’è un ritorno all’antico, è la logica del potere assoluto che non accetta di essere giudicato.
Al riguardo è stato osservato dal Gruppo di Intervento Giuridico Internazionale che la decisione dell’amministrazione statunitense di irrogare sanzioni alla procuratrice della Corte, Fatma Bensouda, e ad altri funzionari costituisce un gravissimo attentato al principio dell’indipendenza della magistratura, che è cardine fondamentale dello Stato di diritto e vuole minare alla base l’esercizio da parte della Corte penale internazionale della sua giurisdizione, oggi più che mai necessaria.
Non c’è dubbio che siamo in presenza di un grave scandalo internazionale ed è grave che, proprio dall’Italia che nel 1998 ha patrocinato la nascita della Corte penale internazionale non si sia levato neanche un gemito. Ma erano altri tempi…altri politici.