Rossana Rossanda. Penna, agile e sapiente, sapeva volare alto

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La morte di Rossana Rossanda mi ha sorpresa di prima mattina, ad un risveglio faticoso che si preannunciava carico di pioggia e, quindi, per me già foriero di tristezza.

Il suo pensiero e i suoi scritti mi accompagnano da quando ho vent’anni e una coscienza critica. Lei e Rosa Luxemburg sono sempre lì, con i loro libri a portata di mano, da sfogliare per ritrovare quella determinata pagina, per chiarirti un tema o mettere a fuoco un quesito, che ti frulla per la testa senza soluzione.

Se Rosa Luxemburg, a mio parere, rappresenta la filosofia politica che trovò barriere per realizzarsi nella pratica e che condusse il pensiero marxiano su sentieri di rovi e di spine; Rossana Rossanda è stata invece “una sorella maggiore” che mi ha spiegato il Novecento, la fine delle ideologie e le confuse contraddizioni del nostro procedere a tentoni in un mondo, che non ci appartiene più.

In pochi sanno che era anche un’acuta e raffinata critica letteraria, che sezionava le linee d’ombra degli scrittori, osservati con sguardo lucido, per contemplarne il mondo dall’alto e conferirgli luce. Sapeva aprire sempre inediti spiragli di lettura e permettere a noi lettori e lettrici di frugare in ciò che ad una prima lettura ci era sfuggito.

Pensava, in effetti, da giovane di diventare critica letteraria, occuparsi di storia dell’arte e di Estetica; i suoi studi classici le avevano donato una speciale sensibilità che mantenne tutta la vita, come: la razionalità, l’oggettiva distanza dalla rozzezza delle cose del mondo, politica compresa. La sua penna, agile e sapiente, sapeva volare alto, qualsiasi fosse il tema trattato. La sua eleganza, venata di ironia, sapeva centrare la realtà della questione operaia e della vita di fabbrica, come luogo simbolo di rappresentanza politica e di trasformazione sociale, senza indulgenze o ideologismi settari. Il suo pensiero e il suo approccio alle cose era sempre visionario, multiforme. La concretezza si arricchiva di intuizioni filosofiche, per non perdere mai la bussola dell’ideale marxiano, mai smarrito nei mille rivoli di un trasformismo imperante.

Sono illuminanti e profetiche le sue analisi sul femminismo e sulla imperscrutabilità della storia. “La ragazza del secolo scorso”, le sue “Memoires”, ci hanno introdotto nel suo intimo per elevarsi a narrazione materiale e fluida del Tempo, che scorre sfiorandoci e coinvolgendoci tra contrappesi e contrari, tra le nostre credenze, abitudini e consuetudini.  Un Tempo eternamente “imperfetto” da cogliere con disincanto.

Ci mancherai, insostituibile, elegante ed eterna ragazza Rossana. Ci hai insegnato a guardare il passato con gli occhi del presente, con disincanto, perchè lo sguardo è fatto delle stesse luci ed ombre del Tempo che fugge e scivola via solo se non siamo attenti ad afferrarlo.

E Lei lo ha i fissato in una fotografia “bianco/nero”, che lo inchioda in una utopia minima: frammenti isolati e fessure su cui edificare piccole certezze.

Improvvisamente sapeva scoprire il suo lato romantico e si apriva a note discrete di tenerezza, come quando ricordava la complicità con la madre e la sua gioventù a Pola, terra di confine e di influenze Mitteleuropee; il suo rapporto con il padre, che si era laureato nella Vienna austroungarica ed era solito parlare in greco e latino. Si commuoveva quando parlava di Simone de Beauvoir, ricordandola in un bellissimo ritratto, scoprendone tutte le fragilità nascoste dell’intimo femminile.

Dei suo amori raccontava, senza malinconia, ma con dolcezza, di anni e passioni condivise e del profondo rispetto verso le sue scelte. Sposò, nel 64 in seconde nozze K.S.Karol, giornalista del Nouvel Observateur. Gli anni insieme corsero lenti e fecondi, in una casa luminosa che si affacciava sulla Senna, piena di ricordi e di memorie, che il placido fluire delle acque avrebbe conservato per sempre.        


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