Comunque la si pensi, che si sia a favore o contro il taglio dei parlamentari, questo referendum sta tirando fuori il peggio di quasi tutti. Nessuno dei due fronti è estraneo alla barbarie, come purtroppo è già accaduto nel 2016 e come sempre accadrà fino a quando non torneremo a dotarci di un sistema politico degno di questo nome, di una legge elettorale decente e soprattutto, di quel bene prezioso che sono le preferenze, sottratto al popolo italiano dall’indegno Porcellum targato Calderoli.
Ciò premesso, veniamo a noi, al mondo dell’informazione e anche a mondi che per lungo tempo ci sono sembrati congeniali o comunque vicini ma che adesso, almeno io, faccio fatica a riconoscere.
Quando si arriva a ritrarre una serie di volti, non tutti propriamente stimabili, e li si addita al pubblico ludibrio, con tanto di biografie irridenti, non si è più al cospetto di una battaglia di idee o di una legittima affermazione del proprio punto di vista ma di un mero dileggio, di una gogna che, da qualunque parte provenga, dev’essere sempre e comunque condannata. Anzi, dev’essere condannata a maggior ragione quando si abbatte contro personaggi che non ci piacciono, contro cui ci siamo battuti per anni, se non per decenni, in quanto il rispetto per il prossimo è un dovere ed è troppo semplice mostrare compassione, affetto e benevolenza nei confronti di chi consideriamo un amico o, comunque, un punto di riferimento.
Un discorso analogo meritano determinati commenti e determinate fotografie riguardanti Berlusconi e Briatore. Non ho mai stimato né l’uno né l’altro nella maniera più assoluta, ma vedere due uomini anziani e in questo momento malati esposti a uno scherno ferino, dissennato e barbaro rende bene l’idea dell’abisso nel quale siamo precipitati. Spiace dirlo, ma stiamo vivendo una stagione tecnicamente fascista, nella quale è stata abolita la pietà, esaltata la logica perversa delle manette, idolatrata la forca, innalzata a virtù la meschinità più bieca, in una spirale d’odio dalla quale nessuno di noi si salverà, dalla quale, comunque vada a finire questa stramaledetta consultazione, usciremo tutti sconfitti, dalla quale verranno inghiottiti soprattutto i più deboli e coloro che ancora credono in quei principî di civiltà, umanità e buonsenso di cui avremmo tutti, più che mai, bisogno.
L’amara verità è che quando si trasforma ogni consultazione in un’arena, in uno spartiacque, in una guerra dei mondi, quando si scende sul terreno del populismo più dissennato, quando si avallano determinati toni, quando determinati modi di fare vengono tollerati in nome della palingenesi e delle presunte virtù salvifiche del cambiamento rivoluzionario, quando non ci si indigna a sufficienza per l’aggressione sistematica, l’eccesso costante e l’esaltazione di una virilità malata e sostanzialmente anti-democratica, come detto, significa che il fascismo è già fra noi. E non sarà la vittoria di una parte o dell’altra a impedirne il dilagare: diciamo che uno dei due esiti potrebbe rallentarne la corsa e, in qualche modo, porre gli argini necessari ma non basterebbe comunque. Per fermare questa follia, questa “corsa verso il nulla”, come la chiamava il professor Sartori, è necessario che almeno uno degli attori protagonisti si fermi e dica basta, che rinunci a partecipare a questo rodeo, che scenda nuovamente sul terreno faticoso delle idee e del confronto civile.
Continuando di questo passo, invece, assisteremo solo a un modo di concepire il giornalismo e la politica intese come scontro di civiltà, con schiere di tifosi assetati di sangue e con la bava alla bocca che invocano il “Crucifige!” comodamente nascosti dietro a uno schermo, senza rendersi conto di essere solo gli utili idioti di un disegno ben più ampio e lontano nel tempo di disarticolazione del sistema demoratico che, come primo requisito, ha quello del “divide et impera”.
Una cittadinanza divisa, litigiosa e in guerra con se stessa agevola unicamente i burattinai che tirano i fili nell’ombra mentre sulla scena si agitano marionette inconsapevoli che si credono onnipotenti quando altro non sono che meri esecutori.
Che siano novecentoquarantacinque, seicento o centocinquanta, o i rappresentanti del popolo sono tali o non hanno alcun senso. Sarà come entrare in uno stadio e assistere allo spettacolo deprimente di due curve nemiche che se ne dicono di tutti i colori, magari lanciandosi anche qualche petardo, mentre in campo va in scena una recita il cui finale è stato già deciso altrove. Da lì al “bivacco di manipoli” il passo è breve.
P.S. Dedico quest’articolo alla memoria del grande storico dell’economia Carlo Cipolla, scomparso vent’anni fa. Ci manca la sua profondità di pensiero, mista a un’umanità di cui, purtroppo, sembra essersi smarrito il seme.
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