Quelle magliette bianche, candide e disarmanti, come lo sguardo di Willy

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Quanto sarebbe stato facile per i famigliari di Willy e per i loro avvocati profittare della nuova decisione del Pubblico Ministero di modificare il titolo di reato, da omicidio preterintenzionale a doloso, e scatenare la pubblica opinione a loro favore, facendo leva sul più becero e spesso strumentale vittimismo.

Come sarebbe stato prevedibile che iniziassero le solite dichiarazioni pubbliche ai ben noti programmi in cerca di lacrimevole sensazionalismo  e vergognosa polemica, asserviti a sollecitare sempre conflitto sociale e intolleranza reciproca.

Dove c’è paura c’è esercizio del potere, dicono i sociologi, e persino il più insensato omicidio di un bravo ragazzo serve allo scopo, perché non importa da dove provenga l’occasione favorevole al fine di indurre la massa a temere per il futuro della convivenza sociale.

Nessuno si sarebbe permesso di criticare i genitori see avessero gridato alle telecamere la loro pretesa di giustizia dallo Stato.

O forse qualcuno, come di consueto, lo avrebbe fatto, visto che oggi sui social si leggono aberranti confronti fra la visibilità mediatica data all’omicidio di Willy, e il trattamento riservato dalla stampa ad un’altra triste vicenda, quella di Filippo Limini, 24enne coinvolto in una rissa e ucciso il 15 agosto scorso fuori da una discoteca  da “3 albanesi”, si legge sui post, che in verità sono nati nel nostro Paese, ed hanno origini oltre mare.

A nulla servono i tentativi di spiegare, in virtù delle inutili cognizioni giuridiche possedute, che nonostante siano due gravissime tragedie, si tratta di due casi completamente diversi.

Inutile cercare di confrontarsi sulla certezza che la morte violenta di un ragazzo è sempre ingiustificabile, ma anche sulla considerazione che il primo omicidio è stato il risultato di un’aggressione volontaria con l’intento di farla pagare a Willy, reo di essersi intromesso a difendere l’amico, mentre nel secondo caso è stato forse un pugno che ha colpito il povero ragazzo, o un calcio quando già era caduto a terra, o addirittura la fuga con l’automobile che avrebbe investito la vittima, a determinarne il decesso.

Una morte che comunque non era voluta dai suoi antagonisti, ma che è stata la desolante conseguenza di una rissa alla quale tanti giovani travisati, quella notte, parteciparono dopo un litigio verbale.

Il tribunale dei social ha già sentenziato, ed è destinato al fallimento chi cerca di far comprendere che non si deve cadere nella facile trappola, utile solo a certa ideologica politica, di paragonare i diversi trattamenti giornalistici riservati ai due episodi, solo perché da un lato c’è un ragazzo di colore e “straniero” ucciso da italiani ( sebbene Willy fosse italiano a tutto gli effetti), e dall’altro un connazionale ucciso da “ migranti albanesi” ( nonostante, si ripete, gli aggressori abbiano parenti albanesi, ma siano italiani a tutti gli effetti)

L’insulto è dietro l’angolo e come minimo si resta sovrastati dall’odio di certi commentatori, sempre pronti con un click a colpire diffamando chi la pensa diversamente o cerca di fare chiarezza ai continui post provocatori, pubblicati ad arte sui social.

In questo ennesimo mercato delle “bestie mediatiche”, la famiglia di Willy ci regala una prova di superiore dignità.

Resta isolata con il suo dolore, non rilascia dichiarazioni, neppure per il tramite del suo legale, e non si presta al pietismo sensazionalistico delle oramai ben note interviste.

Non alimenta odio con il suo dolore, e sceglie il silenzio, decidendo persino ai funerali del ragazzo di vietare l’ingresso ai media, per evitare che le scene di comprensibile disperazione  vengano date in pasto ai consueti spettatori famelici di disgrazie, già pronti a  ipocritamente compatire, se non addirittura ad incitare ai peggiori istinti, latrando alla vendetta.

Oltre ad averci regalato un esempio di solidarietà civile con Willy, ucciso perché ha deciso di intervenire in aiuto ad un amico che veniva pestato, la sua famiglia ci ha somministrato una dimostrazione di valore umano, così raro negli ultimi tempi.

Ed oltre a farceli ringraziare, questa loro “civiltà” fa riflettere sulla ricerca di una spiegazione per quello che è accaduto e che potrebbe ripetersi ogni sera, tenendo presente come si è ridotto oggi il sentimento del rispetto reciproco nel nostro Paese.

L’omicidio di Willy dunque fa così male proprio perché riguarda un ragazzo “normale” che studiava, lavorava ed era visibilmente felice, forte dei suoi anni e del suo coraggio, così illimitato da fargli perdere la vita per aiutare un amico.

A questo l’avevano educato, quelle persone vestite di nero e tristi che piangono composte dietro la mascherina e che, per ricordarlo, non hanno accusato e gridato alle telecamere, ma solo chiesto a chiunque fosse intervenuto in chiesa di indossare una maglietta bianca, candida e disarmante come lo sguardo di Willy a scuola, mentre abbraccia il compagno di banco.


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