Trovare una pista, verificarla, approfondirla, chiedersi se può essere utile ad ampliare il lavoro che stiamo facendo o se ci porta da tutta un’altra parte. Passare ore davanti al computer, a cercare riscontri e nuovi spunti. E le telefonate, gli incontri, i taccuini che si riempiono di appunti. La delusione per i buchi nell’acqua, che diventa un’incontenibile euforia quando trovi la pista giusta. Perché l’obiettivo è sempre chiaro in testa, il progetto ben delineato, ma è sempre così: quando fai un’inchiesta basta una soffiata, anzi, uno spiffero per aprire nuove porte e prendere delle strade che non pensavi avresti potuto imboccare.
È stato questo il leitmotiv del nostro ultimo mese di lavoro per il Premio Morrione, nostro e del tutor che ci accompagna in questo viaggio, Giorgio Mottola, sempre attento e disponibile ad ascoltarci e a consigliarci dall’alto della sua esperienza.
E poi ci sono i chilometri, fatti in macchina, per le interviste che ci stanno facendo girare l’Italia in questa estate in cui il caldo si fa sentire sotto le magliette ma soprattutto sotto le mascherine. Tra un casello e l’altro, però, insieme alla felicità di poter viaggiare per il nostro Paese c’è un filo di amarezza: per quello che avremmo potuto fare e per dove ci avrebbe dovuto portare la nostra inchiesta se non ci fosse stata la pandemia e se prendere un aereo e andare dall’altra parte del mondo non fosse stato problematico per via del virus. Sarebbe stata forse un’altra inchiesta ma, come ripete sempre Giorgio, «non è detto che sarebbe stata migliore».